Lo ammetto, nella mia vita da tifoso dell'Udinese sono stato assai fortunato. Io, nato nel 1992, ho visto praticamente soltanto la parte migliore della storia bianconera, quella delle cavalcate in Europa, del modello Udine nel mondo, dei terzi posti, della Champions e così via.
La mia prima Udinese è stata quella del tridente Bierhoff, Poggi, Amoroso, della notte di Ajax. Mica male come inizio. Poi mi sono innamorato di tanti giocatori e allenatori, di capitan Calori, di Fiore e Giannichedda di cui conservo gelosamente la magliette nell'armadio, di Sensini, di Spalletti, Iaquinta e Pizarro e poi di Quagliarella, di D'Agostino, Inler, Handanovic, per non parlare di Totò Di Natale, la cui maglia, regalatami da O'Rey in persona con tanto di autografo è incorniciata come un'opera d'arte. C'è stato poi Guidolin, allenatore e maestro, del quale nutro stima immensa e profondo affetto. Ce ne sarebbero poi davvero tanti altri, Sanchez direte voi, ma anche Asamoah e tornando più indietro anche Sosa, Locatelli e chi ne ha più ne metta. Grazie a questo lavoro ho potuto conoscere davvero tanti di loro, pezzi di questa straordinaria storia, e con alcuni ho stretto un bel rapporto. Sono tifoso, ancor prima che giornalista, e quindi ogni volta che ho l'occasione di rivederli, di parlarci, il brivido è sempre forte, l'emozione è sempre grande perché so di non essere di fronte soltanto ad ex giocatori ma ai miei idoli, alle mie icone, ai quei giocatori di cui custodivo le figurine autografate e di cui avevo poster appesi in camera. Erano e sono la mia Udinese.
Ora i tempi sono assai diversi, l'Udinese non è più quella di un tempo, c'è una società purtroppo asettica e distante dal suoi tifosi. Professionisti del settore, imprenditori, manager, è questo il calcio moderno. Sembra però manchi tutto il resto, quella parte romantica che ci fa battere il cuore. L'ultimo pezzo di quel calcio che fu è rappresentato dal Paròn, ancora sognatore tanto da dichiarare con orgoglio di voler riportare l'Udinese al più presto in Europa. Ma i suoi anni e anche i suoi sogni sembrano essere distanti anni luce dalla realtà. L'Europa non è mai stata così lontana, meglio guardarsi le spalle, guardare dietro e cercare di salvare il salvabile, di non finire in B perché quest'anno davvero il rischio pare essere concreto.
Amici e colleghi hanno vissuto retrocessioni, lunghi anni di C e di B, io no. Per me l'Udinese è sempre stata la regina delle provinciali, la massima espressione del calcio di provincia, il modello. Non sono pronto per la B, non ce la farei mai ad affrontare sentimentalmente tale possibilità. Eppure la classifica ci dice quello. Nel recente passato sembra stiamo cercando di retrocedere in tutti i modi, solo la scarsezza di chi ci sta dietro finora ci ha salvati.
E pensare che abbiamo una casa, lo stadio Friuli (non posso chiamarlo Dacia Arena in rispetto di chi sotto le macerie dell'Orcolat ci è rimasto), straordinaria, un palcoscenico che meriterebbe ben altre rappresentazioni, meriterebbe sì l'Europa. Sarò sognatore, sarò purtroppo ancora legato ai ricordi, devo svegliarmi, devo rendermi conto che quel tempo non c'è più. Me lo ha detto anche Pizzul "Stefano, non si può vivere di ricordi, il ricordo è una zavorra". Ha ragione il maestro.
Bisogna pensare a quello che siamo oggi, ma cosa siamo? Ieri il direttore Pradè, di cui ho stima e fiducia, professionista serio come pochi altri in Italia, ha detto che dobbiamo guardare all'Atalanta, ripetere quello che fanno a Bergamo. Conosco il modello Zingonia per esperienza diretta, fanno un lavoro straordinario a partire dal settore giovanile, hanno avuto la lungimiranza di puntare su un maestro di calcio come Gasperini e ora raccolgono i meritati frutti di questo lavoro. Ma noi siamo l'Udinese, eravamo il modello studiato da tutto il mondo, qui veniva Klopp e restava a bocca aperta, non è possibile che ci siamo dimenticati tutto, che non sappiamo più fare calcio.
Credo nella competenza dei vertici, d'altronde Gino Pozzo costruiva la squadra anche dieci anni fa ed è stato capace di fare miracoli. Lo dicono in giro per l'Italia, nessun manager ha le sue competenze. Forse però non ci sono gli stessi stimoli, le stesse motivazioni di qualche anno fa. Non lo so, ipotizzo, che ce lo dicano loro. L'Udinese è l'Udinese, era la regina, ora cos'è? Cosa vuole diventare da grande? Il ciclo è chiuso? Fare calcio ai livelli di un tempo è impossibile? La risposta non la possiamo avere noi che guardiamo dal di fuori.
Ciò che possiamo continuare a fare è soltanto essere vicini alla squadra, far sentire che il tifo c'è, l'amore pure. Come in ogni rapporto però, dove non c'è solo un dare ma anche un ricevere, va contraccambiato. Udinese dicci onestamente cosa vuoi fare, quale sarà il nostro futuro.
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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