La gara vinta, soffrendo, contro un Cagliari che condensa negli ultimi 7’ tutta la propria (discutibile) pericolosità ha asseverato una verità: l’Udinese ha svoltato.
Pare lontano il tempo in cui al Friuli passavano cani e porci; quando gli avversari tracheggiavano un calcio sterile (come i centrocampisti sardi domenica passata, poco sostenuti dagli impalpabili Sau e J. Pedro) aspettando solo l’occasione per centrare la porta bianconera; quando di segnare, anche non giocando al massimo, non se ne parlava.
A parte qualche battuta d’arresto, la gestione Delneri ha presentato una squadra ormai definita, al netto di seri infortuni che ne hanno frustrato due undicesimi. Buona pace di quelli che “metti Balic”: inserire il supposto talento croato significherebbe, agli occhi dell’aquileiense, considerare il campionato finito e alla luce di ciò perdere quel pragmatismo che tramutano in tre punti anche venti, piccoli minuti di qualità.
A questo punto qualche collega già vede lontano: io, purtroppo, no.
Perché l’Udinese, per sua natura societaria, affronta due campionati l’anno: quello per il piazzamento in serie A, e quello invece per il piazzamento dei migliori talenti. È sempre stato così, almeno da quando la “proprietà” ha scoperto la combinazione vincente al gioco del calcio, sarà lo stesso anche quest’anno.
E prima di lanciarmi in “compra questo giocatore, rinforza quel reparto, adotta talaltro schema” voglio vedere chi rimane del gruppo che, di questi tempi, si è dimostrato davvero tale sotto la guida della mezzala protagonista nella prima promozione in massima serie dell’era moderna.
Samir; Jankto; Fofana. Di Zapàta si conosce (sarà così?) il destino, ma quali e quanti dei giovani talentini cresciuti grazie a Delneri vedremo brandire sorridenti maglie dai colori diversi, casualmente sempre queli tifati da piccoli? Widmer è sicuro partente, ma per lo svizzero (quattro stagioni e quasi cento gare in bianconero) il ciclo sembra compiuto; Meret con tutta probabilità è già passato sotto l’ala protettiva di Marotta e Paratici, e la serie A la giocherà con la S.P.A.L. in attesa di prendere il posto di Buffon a guardia dei rosastellati vinovesi.
Ma soprattutto, qual’è la ragione (che come molte altre probabilmente è custodita all’Area51 in Arizona) per la quale un buon allenatore come Gigi Delneri ancora oggi aspetta di conoscere il proprio destino?
Sento parlare di nomi alternativi, graditi ai vari socialopinionisti-tifosi (quelli che dopo qualche gara del ritorno vaticinavano l’esonero dell’aquileiense in virtù del fatto che si sarebbero fatti gli stessi punti nell’andata sotto Iachini: dimenticando Lazio, Spezia, Chievo, Sassuolo e mi fermo). Donadoni, Prandelli, forse anche Rocco o Herrera. La verità è che cambiare guida tecnica, oggi, significherebbe partire da zero per la quinta volta di fila: davvero conviene? Davvero vogliamo rischiare con un tecnico di magari appeal televisivo maggiore ma dalle certezze assolutamente inesistenti? E non voglio dire che Delneri sia il migliore tecnico sulla piazza: sostengo essere il migliore per continuare il lavoro sulla crescita di questa squadra.
Perché del gruppo udinese sono convinto. Senza la certezza di un allenatore in prospettiva, ci sono solo tre alternative: quella Barcellona/Juventus, dove il prestigio dell’ambiente rende impossibile il calo della tensione. Quello interista, nel quale ormai il nerazzurro è solo una coppia di colori dalla quale mungere più contanti possibile nel minor tempo concesso, e chissene se in quattro gare contro Crotone, Samp, Fiorentina e Milan si fa un solo punto. Oppure quello di Udine, in cui il gruppo ci ha preso gusto e, conscio dei propri sostanziosi limiti, fa di tutto per raggiungere il lato sinistro della classifica, un turno in meno in coppa Italia e una quota, i famigerati cinquanta punti, che per i bianchineri farebbero rima con “campionato discreto”.
Le ultime prestazioni della squadra, dunque, mi mostrano una svolta decisiva e senza ritorno: la mancanza di una progettualità, però, limitando quindi la gestione udinese a quella meramente finanziaria (per lo scudetto della quale non si vedono rivali all’orizzonte), significherebbe frustrare la costruzione della terza corsia nell’autostrada friulana: quella del definitivo sorpasso a sé stessi. E, credetemi, sarebbe un errore imperdonabile.
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