Eppure l’Udinese era una classica zona di conforto per il Napoli, un’oasi più che l’ultima spiaggia tanto evocata in settimana. Quando c’erano problemi sul golfo, arrivavano i bianconeri a scioglierli. Sei vittorie consecutive degli azzurri prima di questa partita: ma la crisi è crisi, anche di fronte agli amici. Anzi, il pareggio lascia più rimpianti ai bianconeri, non per le occasioni ma per le sensazioni: quando lo ritroviamo un Napoli così sbiadito? La sequenza di imbarazzi è interminabile: una squadra che non vince in campionato dal 19 ottobre e in generale da quattro giorni dopo, con due sconfitte e sette pareggi. Questo, preso in assoluto, somiglia troppo a un altro k.o. Era dal 2010 che il Napoli non infilava una serie nera di almeno sette incontri di fila senza successo, in A. E non può incoraggiare nemmeno il recupero nel secondo tempo. Una banda con un’anima avrebbe tirato dritto fino al raddoppio, o ai tentativi multipli di segnare ancora. Invece il Napoli non riesce a spazzolare le sue inquietudini, a dimostrare una riacquistata coesione. Perché non c’è, tutto è ancora precario, anche la posizione di Carlo Ancelotti, poiché non è che pareggiando a Udine negli studi cinematografici si siano convinti che ci sia stata una svolta. È stata soltanto evitata, se non rinviata, una battuta d’arresto che forse avrebbe provocato cataclismi. E martedì c’è la Champions.
I motivi L’allenatore ripete che «la squadra non riesce a dare tutto». Il Napoli tira in porta per la prima volta al minuto 53, in totale non ci riesce più di quattro volte. Ha un possesso che sfiora il 70 per cento ma che diventa noia, una sequenza di passaggi facilmente leggibili, con una scelta di soluzioni finali contraddittorie; palloni alti quando non c’è il centravanti-gigante, entrate basse quando entra Llorente per Insigne. Un primo tempo totalmente afono, qualche urletto nel secondo, ma va ricordato che il pareggio di Zielinski, un ex, non è su una trama schiacciante, bensì un recupero su un ricciolo riuscito male di Mandragora al limite dell’area. L’Udinese invece è caricata dalla coppa (4-0 al Bologna mercoledì) come il Napoli è appiattito dal ritiro, dalle baruffe. Difesa attenta con linea a cinque, centrocampo con Fofana che spinge mentre De Paul si incarta; attacco che mette il fisico (Okaka) e gli sprint (Lasagna). La ripartenza giusta, proprio con Fofana, permette una cavalcata indisturbata per mezzo campo e il capitano si lancia tra Koulibaly e Mario Rui, permettendosi anche il gol di destro.Ancelotti lo ha chiamato «ridicolo», non proprio la maniera migliore per ritrovare simpatie nello spogliatoio. Però l’onestà di giudizio non viene nascosta.
Le scelte del Napoli Con Mertens e Callejon, oltre a Insigne, titolari, l’allenatore prova anche a responsabilizzare i dissidenti. Se dovete dimostrare qualcosa, fatelo sul campo. Ma il 4-4-2 della prima parte non ha alcuna forza d’urto. Poi entrano Llorente per Insigne e Younes per Lozano, prima centrale e poi esterno. Mertens si toglie sempre più dalla prima linea (3+1), a destra si prova a insistere con più facilità che a sinistra; ma aumentano soltanto i corner (10-3) e non le occasioni.
Coraggio dell’Udinese Non che l’Udinese stesse meglio, come condizioni di partenza: nonostante la Coppa Italia, rimane quell’equivoco permanente di un tecnico che non vuol fare l’allenatore capo, e lo dice. Nell’era Gotti soltanto una vittoria in campionato, la prima e fra l’altro è l’unica in sette uscite costellate di troppe «non partite» tra cui quella di domenica scorsa con la Lazio, a cui sono seguiti ritiro e brusca presa di posizione della società. Però stavolta l’Udinese ritrova carattere e attenzione, evita gli svolazzi e potrebbe anche sfruttare di più il contropiede, ma qualche volta di troppo manca il passaggio giusto dopo aver recuperato palla. Un mezzo successo, anche se l’allenatore nega di aver cambiato idea sul suo futuro. Intanto è qui e torna a far punti.
Autore: Stefano Bentivogli / Twitter: @Sbentivogli10
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