Il mondo è fermo, il calcio pure. Siamo in guerra e quando si combatte, in questo caso contro un nemico invisibile ma letale, non c'è spazio per il pallone. Ma il danno economico è grande, per tutti, anche per l'industria pallonara. Qualcuno parla di dramma e lo fa a ragione. Direte voi, i drammi sono altri, certo (basta farsi un giro negli ospedali per capire la tragicità dell'emergenza che stiamo vivendo) ma il nostro calcio, che non è più soltanto un gioco, rischia di saltare in aria una volta per tutte.
Perché? Perché i soldi che servono per tenere in piedi la baracca non ci sono. No partite, no incassi, senza il gettito delle pay-tv, ciò che sostiene in tutto e per tutto il movimento, non si potrà andare avanti. Ed è pear questo che ai vertici, Gravina in primis, si cerca di tranquillizzare i mercati dicendo che presto si potrà tornare in campo, che i campionati si porteranno regolarmente a compimento e che tutto ritornerà alla normalità. Televisioni e sponsor, chi in questo calcio ci ha investito, hanno bisogno di rassicurazioni per continuare a credere nel prodotto.
Ma una data in realtà ancora non c'è. In questo scenario difficile fare previsioni, stilare nuovi calendari. Il rischio fallimento, allora, è dietro l'angolo. Facciamo due conti: da qui alla fine mancano 12 giornate, praticamente un terzo del torneo, se non si dovesse riuscire a portare a termine il campionato, verrebbero a mancare dalle casse delle società circa 430 milioni per i diritti televisioni e altri trecento milioni circa fra sponsorizzazioni, diritti delle coppe, incassi al botteghino e altri introiti vari. Una somma enorme, pari a 730 milioni.
Senza questi soldi la A, fortemente indebitata, rischierebbe davvero il collasso. Il motivo? La gran parte delle squadre sono fortemente indebitate, le grandi in primis. I costi eccessivi, che negli anni non sono mai stati razionalizzati ma anzi sono aumentati a dismisura, senza i preventivati ritorni, farebbero implodere il sistema. A salvare le casse nemmeno le cessioni, le cosiddette plusvalenze che in passato hanno permesso di sistemare in qualche modo i bilanci, perché anche a livello mondiale si soffre e il mercato estiva sarà al ribasso. Non si potrà nemmeno andare a battere cassa allo Stato, il Paese oggi è chiamato ad affrontare ben altri problemi. Non arriveranno aiuti, al massimo il calcio potrà essere aiutato ripristinando la pubblicità delle società di scommesse questo è certo. I club, in un modo o nell'altro la dovranno fare da soli. Dopo aver sperperato la ricchezza che avevano per le mani dovranno trovare una soluzione.
E l'Udinese, mi chiederete a ragione voi, che farà? Fortuna vuole che a queste latitudini siamo di fronte ad una società sana, con i conti a posto, qualcosa di davvero raro nel depresso panorama professionistico italiano. La gestione dei Pozzo dal punto di vista manageriale (sportivo se ne può discutere ampiamente ovviamente) è ineccepibile. A Udine tutto è stato misurato e i soldi per continuare ci sono. Ovvio che una situazione del genere non può far felice nemmeno la bianconera, che come piccola del nostro calcio, pagherà anche lei la sua parte. Il rischio fallimento qui però è scongiurato, perché alle spalle la famiglia, e questo gli va riconosciuto, ha gestito con sapienza e lungimiranza, costruendo un prodotto che, rispetto, managerialmente è un gioiellino.
Il problema potrebbe forse essere altrove. Perché magari in estate si pensava di far grandi plusvalenze ma cifre faraoniche stenteranno ad arrivare. Il rischio sarà allora quello di perdere i giocatori migliori, Musso, Fofana e De Paul ad una cifra nettamente inferiore alla attese. Un vantaggio per chi compra, uno svantaggio per chi vende. Con meno soldi a disposizione, cercando sempre di mantenere i conti in regola, che squadra si potrà allestire? Questa la domanda che dobbiamo porci. Qualcosa, da qualche parte, si taglierà. E l'Udinese, che ha bisogno di investimenti, di rinforzi per uscire da quel limbo in cui da sei, sette anni a questa parte è piombata, come farà? Un bivio, rilanciare o accontentarsi di una dimensione minore.
Autore: Stefano Pontoni / Twitter: @PontoniStefano
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