Ha perso l’Italia dei Tavecchio e dei Lotito, dei politici, di quelli che “gestiscono” il potere e non lo usano, che professano il cambiamento solo quando, nell'intimo, lo sperano gattopardiano; l’Italia degli introiti televisivi solo per le grandi, degli stadi fatiscenti, del campionato sempre più spaccato in due o in tre e dei flussi monetari verso paesi esteri.
Ha perso l’Italia di Ventura, un allenatore che non ha mai vinto nulla, così come Prandelli. L’Italia che faceva un gioco che non è nel suo DNA. Non conta la marcatura a zona o a uomo, il 352 o il 424. L’Italia ha grandi giocatori sottovalutati da squadre a cui non interessa vincere più di tanto ed una Juventus con un età media dei nazionali sempre più alta. Quando Buffon, a fine partita, si lanciava in avanti sui calci d’angolo, l’immagine che ne derivava era emblematica. La Nazionale si aspettava che fosse un quarantenne che ha vinto di ogni a salvarla, mentre chi non ha mai vinto nulla non ha la giusta fame.
La maggior parte delle squadre gioca con tre punte pronte a ripartire. Noi giocavamo alla spagnola seppur proprio gli iberici ci hanno fatto capire che non era roba per noi. Veratti e Insigne sono magnifici nelle squadre di appartenenza, ma non rendono in Nazionale. Questa sconfitta aprirà dibattiti che si perderanno come nebbia al calare del sole del potere, delle grandi società che vogliono un campionato a loro misura. Ma i temi da affrontare sono due.
Il primo è l’inadeguatezza di chi sta a capo della FIGC. E’ impensabile che una nazione come l’Italia rimanga fuori dai Mondiali. Il fallimento parte dall’alto e chi sta più in alto di tutti deve risponderne. Le dimissioni di Tavecchio e dei suoi seguaci sarebbero il minimo, il sine qua non per poter continuare, cambiare, riprendersi. Il secondo è la diatriba filosofica se viene prima la squadra o l’uomo. Sacchi puntava sul gruppo e metteva Signori a fare l’ala sinistra, però arrivava in finale nel mondiale più maledetto di mai, quello infernale (per le temperature) giocato negli USA. Ventura ha messo fuori ruolo molti giocatori, ha snaturato il modo di giocare presente in Italia, per non riuscire a segnare nemmeno un gol alla Svezia. Lasciare Insigne in panchina e puntare su un gioco che non è nelle corde di Immobile, ha reso?
Ai posteri l’ardua sentenza. Intanto il calcio, lo specchio della società italiana, è fuori dal mondo. Il sistema finanziario italiano scricchiola fra NPL e strani suicidi, la politica pare sempre di più una farsa e l’economia cresce meno che nel resto d’Europa, per l’ennesima volta. A mio parere, secondo il mio umile parere, non serve un uomo a capo della FIGC, ma serve consenso, condivisione; anche delle società più piccole che solitamente sono quelle che fanno crescere gli italiani. Le rivoluzioni italiane, quelle legali, sono state fatte nel 1970 (legge sul divorzio) e nel 1971 (statuto dei lavoratori), in entrambi i casi con un parlamento frazionato in molte compagini politiche. Il calcio ha bisogno di consenso interno e non di dirigenti che sperano in una serie A senza Carpi e Frosinone. E’ un problema culturale, è un problema di meritocrazia.
Ho come l’impressione che il calcio in Italia sia diventato un “Business” dove la vittoria è il secondo degli affari possibili. Il primo è il movimento di denari. E’ giusto così: la nostra eliminazione dai Mondiali si chiama meritocrazia, meritocrazia sportiva.
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