Arrivo con troppo ritardo per commentare la gara di Genova; ho seguito la partita in abbondante differita, dopo aver aperto la terza valigia degli ultimi trenta giorni e quasi chiuso la quarta. Domani si riparte.
Come l’Udinese: cinque gare, otto punti; dieci reti fatte e sette subìte. Delneri ha rimesso le cose a posto, e se ancora non è saggio parlare di rinascita trovo “tafazzista” il sempre prudente esercizio di qualcheduno che parla di passi indietro e del fatto che ieri avrebbe dovuto vincere il Genoa a meno di un fortino bianchenero nella ripresa.
Ma perché?
Perché dobbiamo sempre sminuire tutto, dicendo che si è vinto perché l’avversario è scarso, perso se si è scarsi noi, pareggiato ma si meritava di perdere?
E perché non dobbiamo ammettere che per 45 minuti l’Udinese, ieri, ha tenuto testa alla grande ad una delle squadre più in forma del campionato, specie in casa? I rossoblù corrono a cento all’ora, dove Juric è riuscito a rivitalizzare l’Edenìlson che a Udine ricordavamo in versione “saudade” ed ieri pareva Roberto Càrlos.
Ed infine è ora di finirla di parlare di “scontri diretti” intendendo gare contro Crotone, Empoli, Pescara o Palermo: l’Udinese se la deve giocare con Torino, Atalanta, Genoa o Sassuolo, nella fascia che le compete e prima o poi si riprenderà. Capisco che tre anni di depressione abbiamo spinto tifosi e commentatori a vedere sempre e comunque bicchieri, bottiglie, damigiane vuoti: ma perDio, perché esser noi i primi affossatori dei nostri entusiasmi?
Molti hanno messo in rete il filmato della leggendaria gara contro l’Ajax: diciannove anni e Shota Arveladze come fosse ieri, ma anche Poggi, Bierhoff e uno “sciagurato Egidio” Cappioli; troppi hanno subito postato frasi o vignette ironiche onde affossare quel che oggi è l’Udinese, capace di esser fiera di un pari col Torino. Nello stesso periodo del 1977 si vinceva a fatica in C col Padova, dieci anni più tardi si perdeva a Marassi col Genoa in Serie B. Quindi? Quindi la vita è fatta di cicli e il calcio non fa eccezione.
Troppo fiducioso? E perché no? Chi me la fa fare di essere il pessimista che quando poi le cose dovessero precipitare potrebbe scrivere “come avevamo predetto...”? Il calcio per me non è altro di diverso da quello che vedevo da bimbo, questo sì l’ho scritto spesso; lo sport, ed ora per queste frequenze seguo pallone e pallalcesto, suscita sempre in me delle istantanee indelebili: che so, una curva che urla all’inizio della gara prima che le note dello “sciagurato Egidio” Allevi inquinino il coro; il suono dei “cinque” scambiati da dieci giocatori in campo prima della palla a due sul parquet; un passaggio filtrante, una scivolata; una stoppatona o un terzo tempo, e meglio se Théréau ci fa “nano-nano” dopo l’ennesima rete, o Allan Ray ci guarda con gli occhi fuori dalle orbite dopo un’esiziale tripla da distanza siderale.
Sono nessuno: non faccio tendenza, probabilmente non accumulo visualizzazioni come colleghi ben più preparati di me, per cui mi posso permettere il lusso di non essere obiettivo.
Posso quindi dire che Luigi Delneri a forza di schiaffeggiare i suoi “Dindiàs” otterrà anche una difesa meno permeabile, un Duvàn che centri la porta una buona volta, un Kums che cavi fuori gli attributi belgi ma soprattutto un DePaul possa sfoderare le qualità che quel piede, nascosto da un’indole refrattaria alla lotta, sta stentando a mostrare. Su Fofana, ieri in ombra, nessun dubbio: è un crack, di quelli forti forti, ma ai giovani una gara su tre giocata mediocremente si deve concedere, come successo a Jankto un paio di gare fa.
Posso dire che la famiglia Pozzo, su cui non esprimo giudizio alcuno, si sta giovando dell’opera dell’Aquileiense per alleviare la pressione che si stava accumulando su di loro. Del doman non v’è certezza, ma le mie opinioni sono scritte su foglio, sigillato in apposita busta che consegnerò al fratello Lorenzo Petiziol, cui va il mio più accorato abbraccio (e lui sa purtroppo perché), il quale lo aprirà a tempo debito.
Posso poi dire che sto tutta la vita col “dynamic duo” Alessandro Pedone & Davide Micalich, con Lino Lardo, col jolly di centrocampo Massimo Fontanini, con Allan Ray e tutti i giocatori perché mi hanno tolto trent’anni dal groppone e ridato la felicità del mio basket visto col Paolo o il Mario nei dorati anni ottanta; quello della gara al sabato sera, o alla domenica alle cinque e mezza; quello dei pomeriggi ad aspettare Praja, J.P. Hardy, Tiz Lorenzon per carpire un sorriso o una parola... E che fiume Drazen, quando ci dava lezioni di vita condite dall’immancabile intercalare, volgare anziché no, tipicamente all-Mostar!
Il mio sport è gioia: talvolta esagero, io sono onesto con me stesso e lo ammetto. Lo faccio quando sento toccate in maniera sensibile e non certo positiva le mie corde. Più spesso però smanio per un dribbling azzardato, per una punizione pennellata, per un giocatore mediamente impostato come Gigi Galbagini che all’uscita dal campo non ha più a disposizione una stilla di sudore.
Pausa: l’Italia mi dicono affronti il Liechtenstein, francamente gare dimenticabili che gli azzurri solitamente faticano a portare a casa. Penso già a domenica sera, settemmezza, quando al Longobardi scendono le leggendarie “VuNere” di Alex Ramagli; ed al sabato successivo, quando il sornione Gigi Aquileiense D.O.C. attende il ruspante Sarri per fargli uno scherzetto. Due squadre a me non indifferenti, ma fossi nel tecnico partenopeo mi preoccuperei: l’Udinese oggi sta molto meglio del Napoli, essendone tecnicamente molto lontana; soprattutto ha un attacco che timbra con regolarità il cotone avversario. A Marassi la sofferenza della ripresa è dovuta al fatto che la Biancanera è ancora “corta”, per dirla alla Marchese del Grillo “metà marchese, metà carbonaro”. Fino a prima della trasferta allo Stadium, però, non era corta: era semplicemente inesistente. Diciamoci la verità: oggi è tutta un’altra storia.
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