Buio a San Siro: vabbé le assenze, ma di fronte ad Andreolli e Medel due sole reti realizzate testimoniano di una vera e propria “partita del cuore”, quelle nelle quali giocano cantanti sessantenni ed imbolsiti ex giocatori dal passato più o meno glorioso. Più cuore l’Udinese, meno l’Inter che ha pensato di farsi perdonare una stagione pessima con una goleada finale: i cori della curva nerazzura testimoniano che no, non è servito a nulla.
Poteva finire 7-5, 12-10, 2-2... Tanto il campionato friulano, quel poco che ne rimaneva con un obiettivo tutto sommato trascurabile (non mi dite che un paio di milioni in più fanno differenza in un bilancio come quello udinese), si era concluso con l’espulsione di Danìlo. Amen.
È mancata solo la rete di Palacio, ma anche una difesa poco intensa come la nostra, ieri sera, ha potuto abbastanza contro un giocatore molto simile, per quanto non ancora inquartato, a quelli menzionati nel primo paragrafo.
Delneri si presenta in conferenza post-gara e trova anche il tempo di gigioneggiare, scherzando con una giornalista nerazzurra che chiede informazioni su Samir (all’Inda sono abituati a comperare le figurine con le facce famose, quelli bravi e sottotraccia non sanno nemmeno chi siano); spero la sua serenità preluda alla famosa foto con firma. Anche se io qualche dubbio ce l’ho e domande me ne sono fatte più d’una. Legate, queste, ovviamente al futuro della società. Ma dopo la lezione di marketing letta ieri, mi richiudo nel silenzio.
Perdonatemi: parlare di Inda-Udinese dopo che ieri la storia del calcio ha chiuso un volume, un tomo di imponenti dimensioni e ancor maggiore contenuto è troppo anche per me, che di natura son cazzaro. la massima serie perde l’ultimo dei mohicani, una bandiera non solo della propria formazione ma anche e soprattutto di un calcio ormai declinato al passato. La giocata ad effetto non funzionale alle meccaniche di squadra; la personalità e la leadership, la capacità spesso anche eccessiva di determinare le cose nella propria società; il senso dell’umorismo autoreferenziale, nel senso di uno che di prendersi in giro non ha mai avuto paura. Ecco, da oggi anch’io, che giallorosso non solo, mi sento più solo.
Ma io la colpa al calcio non la posso dare: il problema, caro Francesco, è il tempo. Passa per me, portandosi via i capelli; passa per te, recando seco non un mazzolin di rose e viole ma i fiori più freschi delle nostre, della tua gioventù; per tutti, amen, ‘A livella di Totò che nessuno può sindacare.
E se Roma perde il proprio nono re, la memoria non può non andare a dodici mesi fa. Noi salutammo al tempo stesso l’intera ossatura, l’anima di una squadra, problema cui la società non ha voluto, potuto o saputo porre rimedio.
Non ci sarà più un altro Antonio di Natale. Non ci saranno più Maurizio Domizzi, Giampiero Pinzi, Giovannino Pasquale. Non ci saranno più: perché la dirigenza, via loro, ha dato la stura all’Udinese trepuntozero. E siamo onesti: le bandiere saranno importanti per l’ambiente, forse per gli spogliatoi: ma che pigna in un porto di mare come Udine.
Ditemi la verità: chi fra Voi, fra noi non ha dovuto nascondere una lacrima, dopo lo scempio finale contro il Carpi, quando Totò cantava, paglia in mano, in piedi sugli spalti; quando Maurizio Domizzi girava il campo con la prole, come Pasquale; quando il giorno dopo Pinzi piangeva sulla spalla del presidente del club che porta il suo nome? Siate sinceri.
E i risultati si vedono, oggi: la mancanza di punti di riferimento è stata solo in parte compensata (per fortuna) da Luigi Delneri, che ha cambiato le carte in tavola dalla stagione precedente, e dallo scorcio di quella presente disputata sotto l’egida dell’ascolano Iachini. Ma se all’ultima gara proprio lui dice che l’Udinese gioca con intensità e carattere “una gara sì, una gara no, due sì, tre no” significa che manca esattamente questo: una rinnovata ossatura di squadra.
E per chi come me ha iniziato a vedere il calcio che Giacomini ancora giocava, sapere che uno alla volta se ne sono usciti dal campo Mazzola e Rivera, Bettega e Paolo Rossi, e ZoffGentileCabrini; e Platini, Zico, Maradona, fino ad arrivare a Franco Baresi, Maldini, Baggio, Totò, Del Piero e Totti; beh, faccio fatica a farmi piacere la velocità, la tattica, il calcio spietato di oggi. Non ho mai detto che sia peggio di ieri, ché anche se ritengo migliori alcune partite del passato chi mi cataloga come nostalgòpata sbaglia: è solo che, come ho detto in passato, sono cambiato io. E la gioventù, cristallizzata nel mio modo di pensare, purtroppo mi manca quando mi guardo allo specchio ed il tempo, chiudo il cerchio, ha agito in maniera simile al comportamento spallettiano o contiano con campioni citati qui sopra.
L’Udinese, dicevate? Cosa possiamo dire fino a quando non si sa chi l’allenerà l’anno prossimo? Cosa possiamo dire del calciomercato se ultimamente ne siamo protagonisti per le uscite e meno per gli ingressi in rosa? Mi tengo stretti la decina, dozzina di giocatori che quest’anno hanno fatto meglio; non sono così convinto che cacciare Théréau sia un’idea geniale, ché se si allena bene sarà pure felpato ma qualche mezz’ora di qualità da punta vera la può fare; si scelga il portiere fra i tre a disposizione, senza prestiti né dilazioni; e si torni, con costanza, a giocare al calcio.
Ma le ultime righe vadano a detrimento della mia capacità di capire questo gioco: avevo dato per spacciato il Crotone dimenticando che esistono anche i miracoli sportivi. Ce l’hanno fatta, i pitagorici, a scapito della peggiore squadra che il girone di ritorno abbia annoverato assieme al Genoa. Ricordo quando, dopo la vittoria “furfantesca” ai danni dell’Udinese il presidente empolese affermava ad una radio friulana di cui ero ospite come la differenza fra la sua squadra e quella bianconera fosse la loro maggiore qualità di palleggio. La settimana successiva perdevano proprio in Calabria: a posteriori il mio pensiero è dicotomico. La parte sognante di me vorrebbe raccontare della cavalcata dei rossoblu di Nicola; quella andreottiana, però, legge che la quota salvezza si è miseramente fissata a 34 punti, che l’Empoli non ha mai mostrato voglia di permanere in massima serie troppo a lungo (costi?), che il paracadute quest’anno è pingue, il prossimo probabilmente sarà meno sostanzioso.
Soprattutto, non perdòno a Corsi la risposta ad una domanda su Antonio Di Natale e un’eventuale impiego nella società toscana (“non è il fatto di prendere Di Natale, è che bisogna sapere cosa fargli fare”). L’ho trovata una risposta saccente ed ingrata. Ignorando (etimologicamente parlando), Corsi, che l’unica pratica adeguata per un uomo come Totò è la clonazione, pregi e difetti inclusi.
E Martusciello? Ditemi ciò che volete: la parte meno romantica di me lo accosta ad Oronzo Canà ed alla Longobarda. Al netto, ovviamente, dell’ingresso di Aristoteles.
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