Anni settanta. Noi ragazzini in procinto di comunicarsi andavamo a dottrina, non a catechismo come i giovanidoggi. E sì, dovevamo imparare a memoria l’Atto di dolore ma fuori dalla canonica, nel campo di basket in cemento su cui giocavamo al pallone, la litania che rendeva possibile l’ingresso era ben altra. Laica, la definirei.
Iniziava col portiere, finiva con il puntero di quell’AjaxUdinese che mister Giacomini faceva giocare come un vero, mortifero clockwork orange.
E il portiere si chiamava Carlo Della Corna.
Già: Charlie è andato avanti. Ha perso la prima battaglia della sua vita, quella contro un male incurabile che da qualche mese lo tormentava; e lui, già riservato, l’aveva presa come un affronto personale.
L’ho saputo qualche giorno fa, quando l’amico Daniele (ispirato da persona vicinissima alla famiglia) aveva pensato che forse uno striscione ‘forza Carletto’ si sarebbe potuto fare.
E Carlo ci ha preceduto. Ha deciso di togliere il disturbo, ma non si fa mica così! Senza nemmeno giocare un’altra partita fra vecchie glorie, senza salutarci per l’ultima volta. Tanto lo ribecco, Carlo! Perché, come dice il profeta Sergio, ognuno di noi nasce con un decreto di condanna a morte in calce al quale manca solo la data d’esecuzione. E lassù un giorno o l’altro gliene dirò quattro.
Aveva appena compiuto sessantasei anni, Della Corna. Brianzolo di scuola Varese, era arrivato in bianconero nel 1977 proprio assieme a Massimo Giacomini, Mariano Riva, più tardi Nerio Ulivieri fra gli altri. La presidenza Sanson (con Dal Cin come deus ex machina) era all’alba, le ambizioni alte quanto la frustrazione per una promozione in cadetteria che sfuggiva ormai da sedici anni; capimmo fin dalla prima missione corsara a Mantova (c’eravamo) che quella era l’annata buona; finimmo in carrozza, battendo la valorosa Juniorcasale di Basili e Tormén, perdendo solo a Casale ed a Sant’Angelo, dove giocammo con la Berretti a promozione acquisita. Carlo prese diciassette reti in 38 gare: difesa ermetica, che lui guidava con sicurezza ed esperienza, pur avendo solo venticinqu’anni.
E l’anno successivo la squadra, innerbata dai vari Delneri, Bilardi, Fellet, Sgarbossa e Vagheggi divenne l’Arancia Meccanica che ancora oggi dà brividi, solo a ripensarci; campionato trionfato, ventidue reti prese, sei punti sul Cagliari che annoverava gente come Corti, Lamagni, Longobucco e Piras.
La vittoria-promozione, 1-0 casalingo sul Palermo, coincideva con la sagra di S.Antonio, nel mio paese natale che ospita tra l’altro lo stadio; inevitabile che tifosi, dirigenti e giocatori si riversassero in Piazza Rizzi a fare festa. Mariano Riva (che realizzò la rete-promozione) portato in trionfo, Vagheggi che si nascondeva dietro i riccioli; Ulivieri, Fellet e Fanesi a bersi un taglio al chiosco, con il Milan (leggendario magazziniere dell’Udinese) a mescere bianchi e rossi; e Carlo, davani al panificio, a dispensare sorrisi, abbracci, strette di mano e autografi.
Mio padre mi disse ‘va’; avevo conquistato una rivista, L’Udinese, da qualche parte sugli spalti e mi avvicinai timido. Carlo mi disse ‘vien qui’, firmò la copertina che riportava in prima pagina la squadra con la maglia-Ajax dell’anno successivo; lo fece proprio sulla sua immagine, accosciata, con la maglia verde e lo stemma, nuovissimo, con la testa della zebretta. Mi girai incredulo, mi scompigliò i capelli (all’epoca li avevo. Lunghi, dall’alto dei miei dieci anni) e disse ‘grazie’.
Lui ringraziò me.
Due settimane più tardi si fratturò la gamba in uscita contro Gaudino; tornò, ma la società aveva firmato Ernestone Galli (di ritorno a Udine), portiere dell’imbattuto Vicenza dei miracoli di G.B. Fabbri; sarebbe tornato, Carlo, ma mai ai livelli precedenti. Dopo Udine, Perugia e Como in annate senza grosse soddisfazioni; quelle che si guadagnò allevando virgulti all’accademia Inter fino a un paio d’anni fa.
Gli avevano proposto panchine di livello, si rifiutò: lui voleva lavorare sui ragazzini, farli crescere sani in campo e non solo. Era fatto così.
Ho parlato di tutt’altro, lo so; avrei dovuto andar giù di coccodrillo, ma ricordare momenti belli è sutura per il dolore che provoca la scomparsa del portierone di quegli anni.
Ciao, Charlie; saluta il DeBe.
Della Corna, Bonora, Fanesi; Leonarduzzi, Apostoli, Riva; De Bernardi, Gustinetti, Pellegrini: Bencìna, Ulivieri.
Della Corna, Bonora, Fanesi; Leonarduzzi, Fellet, Riva; De Bernardi, Delneri, Bilardi: Vriz, Ulivieri.
Allenatore signor Massimo Giacomini.
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