La Francia si ferma, la Germania riparte. I due Paesi forti dell’Unione Europea scelgono due strade diametralmente opposte per gestire il calcio dopo il Coronavirus: Emmanuel Macron ha decretato da tempo lo stop alla stagione 2019/2020, con la Ligue 1 costretta a cristallizzare i propri verdetti. Angela Merkel, invece, ha dato oggi il via libera alla Bundesliga, anche per le fortissime pressioni regionali in tal senso. E nonostante, pare, quelle ricevuteproprio dal presidente della Repubblica francese. L’Italia? Sta in mezzo al guado, e deve decidere in che direzione attraversarlo. Il fatto che le due nazioni guida del Vecchio Continente scelgano due soluzioni antitetiche dimostra come non vi sia una risposta giusta. Ma al massimo due modelli da seguire per il nostro Paese.
La soluzione francese non risolve. Ma la Germania è un altro mondo. Fermarsi come ha fatto la Ligue 1, in Italia, sarebbe molto complicato. C'è chi, con ottime argomentazioni e legittimamente, dice impossibile. Al netto delle perdite economiche, è certo che genererebbe una sequela infinita di polemiche e ricorsi, come d’altra parte è accaduto oltralpe, dove in un certo senso anche le pulci (il Tolosa ultimissimo a 13 punti) hanno la tosse e promettono battaglie giudiziarie. Figuriamoci cosa accadrebbe da noi, a partire dalla lotta scudetto, accesissima in campo e chissà in tribunale. D’altro canto, il modello tedesco non può essere davvero tale per l’Italia fino in fondo. Basterebbe guardare al di là del calcio: la Germania ha un sistema di test molto più avanzato e capillare, ha molto più posti in terapia intensiva (prima della crisi 29,2 su 1000 abitanti, l’Italia appena 12,5), soprattutto ha drasticamente meno morti. In Germania vi sono state delle restrizioni, ma non c’è mai stato un vero lockdown. Impensabile che tutto questo non influisca nel mettere a confronto Bundesliga e Serie A, espressioni calcistiche di due realtà che non si possono davvero paragonare.
Domani confronto CTS-FIGC. Il nuovo positivo? C’è già. E ci mette a un bivio. In Germania e in Italia, come del resto in Francia, in Spagna e nel Regno Unito, il punto centrale della questione ripresa è quello di un nuovo contagiato. Cosa succede in caso di positività di un calciatore? Attorno a questo nodo gordiano si stanno sviluppando tesi, pareri e diatribe: il comitato tecnico scientifico e la commissione medica della FIGC ne riparleranno domani, quando si discuterà per l’ennesima volta la definizione del protocollo che dovrebbe consentire la ripresa degli allenamenti di squadra. Non ancora del campionato, si badi bene: a quello non siamo minimamente vicini, ma bisogna andare per gradi. Intanto, la notizia del contagio di un calciatore del Torino ci mette di fronte alla realtà: nuovi contagiati ci sono e ci saranno, la discussione non verte sul se. Forse sul quando, ma soprattutto sul come affrontare la cosa. E qui c’è una scelta da prendere. In questo caso sì, la Germania può darci qualche indicazione.
O si segue il modello tedesco o si ferma tutto. Continuare a temporeggiare in attesa che passi la nottata non ci aiuterà, come non aiutano molto il calcio neanche le schermaglie mediatiche a cui assistiamo giorno dopo giorno tra i fautori del ripartire a ogni costo e quelli del fermarsi a ogni costo. Anche se parliamo di due mondi diversi, per Germania e Italia, a livello di ripresa del calcio giocato, la domanda è la stessa: con un nuovo contagio si mette in quarantena l’intera squadra o si chiude il malcapitato in casa sua e si va avanti? Oggi pomeriggio, il ministro Spadafora ha dichiarato che le uniche scelte vere e proprie sono arrivate da chi ha deciso di fermarsi. Era vero quando lo ha detto, alle 15, ma già un’ora dopo non era più così. Angela Merkel, sia pure confortata dai medici della Bundesliga, ha intrapreso la seconda strada, per una precisa decisione politica. La stessa che finora è completamente mancata in Italia, con tanto di sberleffi via Facebook. Ma che a un certo punto sarà necessaria anche da noi, pur in un quadro generale del tutto diverso: o si accetta che un nuovo contagiato non possa fermare il calcio o si decide che il pallone debba fermarsi ancora per un po’, in attesa che il sereno torni davvero. Giocare o non giocare, giorno dopo giorno, diventa sempre meno il vero problema. Basterebbe sapere in che direzione stiamo andando, e con quali mezzi intendiamo affrontare il post Coronavirus, che la palla rotoli a giugno o debba aspettare settembre.
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