Allegria contagiosa e fiuto del gol. Queste sono sempre state le caratteristiche di Marcio Amoroso dos Santos, attaccante dell’Udinese dal 1996 al 1999. Nativo di Brasilia, classe 1974, è stato uno dei simboli della rinascita del club friulano nel corso degli anni ’90. Veloce, potente e tecnico, abile sia con il destro sia con il sinistro, ha saputo adattarsi rapidamente ad un tipo di gioco sempre più esigente dal punto di vista fisico. Il rimpianto più grande degli appassionati è il non aver visto all’opera il campione brasiliano nel pieno dei propri mezzi a causa degli infortuni che cronicamente lo hanno attanagliato, ma mai fermato, visto che ancora adesso calca i campi di gioco, con il Boca Raton, club dell’American Professional Football League. Eppure, nonostante gli acciacchi ed il trasferimento al Parma, nell’estate del 1999, è rimasto nel cuore degli appassionati bianconeri. E per lui, Marcio Amoroso, cosa vuol dire aver fatto parte della storia dell’Udinese?
“Per me, senza dubbio, è un riconoscimento. Sono un calciatore che da giovane è arrivato in Italia in un periodo in cui giocare nel calcio italiano era molto difficile. Erano presenti i migliori campioni al mondo. Ho avuto la fortuna di arrivare in una società che ha creduto nel mio modo di giocare. Pozzo mi ha pescato nel Guaranì, ha avuto pazienza ed ha aspettato il momento giusto per darmi spazio. L’Udinese era una squadra neopromossa. Avevo davanti due attaccanti come Poggi e Bierhoff. Per me è stato tutto più facile. Zaccheroni mi ha insegnato cosa fare. Nel 1996 era difficile: l’Udinese era una formazione provinciale che non era mai andata in Europa. Ma da lì ha cambiato la sua storia. Io sono stato fortunato a trovare i Pozzo e quel gruppo”.
Si può dire che quell’incontro gli abbia cambiato la vita? Marcio non ha dubbi:
“Sì. Gino Pozzo aveva iniziato ad investire nei giovani talenti. Non avevo 20 anni ed ero reduce da un infortunio. Ero fermo da un anno, senza la possibilità di giocare. Per me è stato importantissimo arrivare in una piazza come Udine. Inoltre Zico era il mio idolo e lui mi ha dato la responsabilità di fare bene. È diventato più facile in questo modo. E poi c’erano gli amici che mi hanno dato la possibilità di conoscere altre persone perbene”.
Già, Zico. Indiscutibilmente, il Galinho è stato d’ispirazione per l’attaccante. C’è qualcosa che può accomunare i due verdeoro più forti della storia dell’Udinese?
“Prima di cambiare il modo di giocare, ero un trequartista con le sue caratteristiche. E poi eravamo simili sotto l’aspetto del fiuto del gol, dei due tocchi e tiro immediato, nel piazzare e palla a giro, nel dribbling corto”.
Ma Amoroso non ha scritto la storia dell’Udinese da solo. Lo ha fatto insieme ad altri compagni validi ed insieme a due di essi, Poggi e Bierhoff ha composto un tridente straordinario. Come si può spiegare questa intesa straordinaria tra giocatori con caratteristiche diverse? Marcio sorride emozionato. La ditta del gol bianconera non è mai uscita dai suoi ricordi:
“Io e Paolo ci sentiamo spesso. È un amico. Con Oliver, invece, è più difficile avere modo di sentirsi. Una volta Paolo ha detto in maniera ironica che sembravamo una barzelletta: un tedesco, un brasiliano ed un italiano… Ma eravamo anche un mancino, un destro veloce, un attaccante fortissimo di testa. Giocare con loro era facile perché bastava fare i movimenti giusti. Paolo era intelligente perché creava gli spazi con la sua corsa e la sua tecnica. E poi c’era l’attaccante più forte nel colpo di testa. Zaccheroni è stato intelligente nel gestire le nostre caratteristiche”.
E, anche grazie a quei compagni, ha realizzato qualcosa come 38 reti in 86. Ma quale di queste magie è la più bella e piacevole da ricordare? Amoroso riflette per qualche istante: è evidente che ogni marcatura rappresenta qualcosa di importante. Ma presto il capocannoniere della stagione 1998/99 sceglie:
“Il gol più importante è stato quello segnato contro il Parma allo scadere. Abbiamo vinto 2-1 e quella rete ha fatto la differenza nell’anno per l’Udinese e nella società. Nella stagione successiva, ho lasciato Udine. La mia cessione è stata importante per la società, ma quel gol è stato scelto dai tifosi come il più bello nel vecchio Friuli”.
Eppure anche la storia di Amoroso ad Udine ed in Italia non è priva di rimpianti. Lo stesso Marcio lo racconta con un velo di malinconia nelle sue parole:
“Ammetto che allontanarmi dal Friuli è stato molto difficile da accettare perché sono stato talmente bene. È complicato trovare un posto in cui mi sono trovato così bene tra la cucina e la gente. Udine dà la possibilità di crescere come persona. È una città tranquilla. E poi il friulano ti apre sempre le porte di casa”.
E tra i rimpianti c’è spazio anche per uno scudetto forse mai considerato realmente possibile? Il brasiliano ammette con sincerità:
“Era difficile per noi. Ci è passata in mente la possibilità di puntare al sogno di giocarci lo scudetto. La Juventus era fortissima ed anche Milan ed Inter erano superiori, dal punto di vista dell’organico. Non dico bugie, sognavo lo scudetto con la maglia dell’Udinese. Poi, per tante ragioni, non è stato possibile. Comunque arrivare in Coppa Uefa è stato come aver vinto lo scudetto, abbiamo festeggiato quel traguardo”.
Dopo i ricordi meno piacevoli, è giusto lasciare spazio ad aneddoti piacevoli e curiosità sullo spogliatoio dell’Udinese di Zaccheroni. Amoroso si sofferma su due episodi singolari:
“Il primo riguarda la nascita del mio primo figlio. Quando lo hanno saputo, i miei compagni mi hanno fatto una festa a sorpresa. È stato un pomeriggio indimenticabile. Il secondo episodio risale a quando siamo rientrati da Roma dopo il 3-0 che ci ha dato la qualificazione alla Coppa Uefa, per la prima volta nella storia della società. Siamo rientrati nello spogliatoio ed era come se avessimo vinto lo scudetto. Quella squadra era come una famiglia. Tutti si rispettavano e, se c’era un problema, si cercava di risolverlo insieme”.
Ed i legami con quella famiglia si sono in qualche modo allentati? È rimasto qualche compagno con cui si è mantenuto un buon rapporto? Amoroso annuisce:
“Certo. Parlo spesso con Calori, Bertotto e Poggi. Questi sono coloro con cui ho più rapporti. Anche con il Barone Causio mi sento ogni tanto. Lui mi ha insegnato come affrontare il calcio italiano. Ho imparato molto da lui e dai suoi insegnamenti. Mi ha aiutato tantissimo”.
E un giocatore con la sua fantasia non ha mai sognato di giocare con un altro giocatore dell’Udinese? Magari con Zico, il suo idolo, o Di Natale? Marcio si scioglie in un sorriso. Certo, ci ha pensato, perché ancora prima di essere un campione è un amante di questo splendido gioco. Ed il lato dell’appassionato che è in lui esce fuori in tutta la sua bellezza:
“Forse avremmo potuto vincere lo scudetto... Ma già con i miei compagni sarebbe stato sufficiente. Avere Zico che ci dava la palla sarebbe stato il massimo. Con Totò… sarebbe stato un problema lasciarlo in panchina. Lui avrebbe avuto un posto nel mio attacco perfetto”.
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