Allora, ricapitoliamo con calma senza cercare troppo indietro.
A Roma, primo tempo a ritmo lento del maestro Gàmbara, poi un rigorino e gara finita, quattro pappine.
Due vittorie, la prima soffertissima contro l’Empoli in casa, la seconda a San Siro giocando tutto sommato bene.
Da lì in poi, un pareggino con la Viola e tre gare scandalosamente perse contro Chievo e le decimate Sassuolo e Lazio; due in casa, senza scusante alcuna.
Dopo aver concesso i tre punti ai rionali veronesi, scrissi un pezzo durissimo richiamando un’assoluta assenza di ambizione, in questa squadra. Un esperto opinionista, uno veramente bravo, mi disse che no, non si possono trarre affrettate conclusioni: bisogna attendere la sosta, per valutare il lavoro di Iachini quantomeno a medio termine.
La sosta è arrivata.
Io sono esattamente quel che volete: leone da tastiera, giornalaio (lo prendo come un complimento: massimo rispetto a chi si alza alla mattina prestissimo per ricevere i quotidiani e offrirceli), presuntuoso arzigogolato supponente. A Voi la scelta.
Ma con tutti questi epìteti, maturati da quel che scrivo (dato che chi mi conosce di persona la pensa in maniera diversa) e che accetto senza remissione alcuna, rivendico il diritto assoluto, inalienabile e totale di pensarla a modo mio: e di difendere anche idee, diverse dalle mie, che ognuno deve avere la chance di esprimere.
Questa società: proprietà, azionisti di minoranza, dirigenza tutta, staff tecnico, roster dei giocatori, hanno mancato di rispetto nei confronti di chi va allo stadio; o molto più modestamente, come me, sta a Tokyo per lavoro e si sveglia alle 3:45 del mattino dopo un paio d’ore di sonno, per assistere ad un vero e proprio scempio sportivo.
Onore alla Lazio, ed a Simo Inzaghi: senza Biglia e titolari vari, azzecca il 4-3-3 che facilmente fa a fette la Biancanera, violandone la rete tre volte e colpendo un clamoroso palo col giovanissimo Lombardi. Basta?
No. Gioacchino va in conferenza stampa, e (le ho contate) pronuncia 14 volte la parola “continuità” e sei volte “assenze”. Invece di arrivare al microfono, alzarsi in piedi e chinarsi, naso sul tavolo, pronunciando sessanta volte la parola “scusa” e duecento volte “vergogna”. Scusate ma sono in Giappone, terra che amo e di cui ho facilmente assimilato il senso dell’onore. Iachini non è un pirla, ma nonostante predichi tranquillità la prossemica dice altro. Si gratta la fronte, si asciuga un sudore che non c’è, accentua spesso l’accento marchigiano (scusate l’allitterazione) segno, me lo dicono amici di quella regione, di un nervosismo malcelato e crescente. Non pago, dice che fino alla prima rete subìta la gara era pari. Palle: dopo dieci minuti la Lazio aveva preso il campo in ampiezza e profondità, rischiando quasi nulla e percuotendo le ali friulane soprattutto con le discese di Lukaku, il quale stasera invece che il fratello scarso di Romelu sembrava Garrincha.
Quindi, sarei nervoso anch’io.
Perché continua a schierare una difesa senza difesa (sulle ali): gli avversari lo sanno, stasera Inzaghi ha allargato Keita Balde e Felipe Anderson e ha fatto a pezzi Heurtaux e soprattutto Adnan, sfruttando senza pietà spazi e verticalizzando che neanche il Barcellona. L’iracheno, non me ne vogliano le schiere di suoi sostenitori, farebbe fatica a contendere il posto in squadra a un Domizzi, e uso un nome non a caso.
Perché se viene a dirmi che ha cambiato modulo a causa dei nuovi acquisti, e poi mette in campo otto undicesimi live from l’anno scorso con il 3-5-2 Anziate, mi prende per cretino.
Perché se mi mette Adalberto a scempio concluso, allora sì che (sportivamente) lo ammazza.
E in campo? Vogliamo parlare dei prodi scesi oggi sul verde prato del Dacia bunker? Paradossalmente Perica e Zapàta hanno meritato il mio rispetto, specialmente il primo che si è smazzato a cercar palla mentre i mediocri mediocampisti erano preoccupati a rimanere in posizione per evitare la goleada, come se tre o sei reti prese facessero differenza. Kums gioca peggio di gara in gara, appiattendosi in un ruolo più simile ad un Filini dell’ufficio mazzette che ad un Pirlo trappista; DePaul fa fatica ad imporre la personalità se attorno a sé non ha fiducia e joya; Kone è il meno peggio ma si spegne alla distanza; Badu non mette più un’accelerazione neanche a prenderlo a schioppettate.
Ma il veleno, il mio veleno, è nella coda. In mixed zone arriva Danìlo, che sbugiarda l’allenatore in maniera netta e convinta. Afferma, il capitano dei bianconeri, che con Iachini o qualsiasi altro i risultati sarebbero i medesimi; che la squadra, o almeno parte d’essa, non sta lavorando come invece sostiene il trainer; che se in quattro anni le sconfitte sono mille, la responsabilità è di chi va in campo. Soprattutto alla puntualizzazione della collega sull’uscita anticipata dei tifosi della curva, risponde “hanno avuto sin troppa pazienza con noi”.
Quindi? Vogliamo darci una mossa, amico Larangeiro, o vorrai essere ricordato come il capitano della peggiore Udinese della storia recente? Lasciamo stare paragoni con Bonora, Leonarduzzi, Causio, Galparoli, Valerio, Alessandro e Totò Di Natale, ma almeno mostrami la tua carioca dignità.
Amen? Non proprio. Adesso finitela: siete riusciti a stufare anche gli eroi della Nord. Voi, la vostra mancanza di dignità, di rispetto per la maglia ed i tifosi, di onore; voi, senza attributi, senza ambizioni, senza qualità, senza e basta. Voi: vi avevo invitato a ricordare la nobiltà bianconera. L’AUC night organizzata dall’amico Daniele è stata santificata da una cosa vergognosissima.Tempo perso: non ve ne frega nulla. Faccio nomi e cognomi: persone come Piero, o Antonello, o Oliviero, Emiliano, Sandro e tutti quelli che collezionano cimeli in ricordo della suddetta nobiltà, stanno a voi come un asado argentino ad un vegano. Sarete pure buoni pedatòri, ma state mostrando zero. Zero. Niente.
Domattina, di buon’ora, come richiesto dal Bro Roberto indosserò geta ed hakama, sandali e pantaloni rituali, e come Hattori Hanzo andrò ad Hanzo-Mon, per fare il mio dovere di uomo: straccerò la foto di questa squadra, in maglia biancogrigia, perché i suoi valori non sono i miei. Io sarei morto in campo per quei quindicimila che mi sostengono, e le decine di migliaia in giro per il mondo che fanno lo stesso. E avessi perso, avrei tolto la maglia, appoggiata sulla balaustra della curva ed inchinato lì, di fronte a loro, pietendo la loro comprensione. Voi? figurarsi, ciao ciao e tutti sotto la doccia. Perché, è successo qualcosa?
Ed è per questo, rinfacciando a molti smemorati tifosi le bottiglie di prosecco stappate tre anni or sono, che ho lanciato il mio personalissimo mantra: #GuidoTornaaCasa. Perché anche con lui si soffrì, l’ultimo anno, ma ci stava male quanto e come noi e il suo volto grigio era la maniera più evidente per chiederci perdono. Progetto? Le chiacchiere stanno a zero. Anzi, tre a zero.
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