Oggi coccodrilli si sprecano, dove per anni ha regnato l’indifferenza. Dove per anni è valsa la regola del ‘bravo ma non si applica’, che crea tanti ordinatissimi omìni. Ma uomini, di quelli ne forma pochi. Forse troppo pochi.
Ezio Vendrame, della propria vita, ha fatto esattamente quel che ha desiderato. Giocava perché lo amava, ars gratia artis, e chissenefrega se qualcuno non ha capito. Non ha voluto capire, o meglio non è stato in grado di farlo.
La vita non distribuisce a caso. Talento, talenti, fortune e sfortune. Nato a Casarsa della Delizia, poche centinaia di metri dall’altro Poeta, entrambe le ‘P’ majuscole, non a caso anche questo amante del calcio inteso come esteriorità pura; per entrambi un’infanzia complicata, che ha portato Ezio a vivere i primi anni di vita in collegio. Il collegio degli anni ’50, quello di tanti libri ovviamente censurati. Siamo pur sempre un paese falsamente laico.
Il pallone: di stracci, di pelle pesante, di cuoio lo ha salvato all’alba dell’adolescenza; lo ‘becca’ l’Udinese, se lo prende giovanissimo per cinquemila lire il mese, più tetto e tre pasti il giorno. A quel paese il collegio, anche una miseria è meglio dell’educatija’. Cinquecento lire in più se va, il lunedì mattina, a spazzare gli spalti del Moretti.
Arrotonda arrangiandosi, il guaglione ‘cjasarsèis’; sono gli anni del secondo dopoguerra, di un’Italia dall’economia esplosiva. E lui, di esplosiva ha la vita.
A vent’anni l’Udinese smette di crederci, e lui non se lo dimenticherà. Lo acquista la S.P.A.L. del presidentissimo Mazza, che crede di riuscire a disciplinarlo.
Crede: Ezio lavora durante la settimana, il sabato sera però come tutti gli operai si prende i propri spazi e la domenica ne risente. Vino, cicche, donne e via. Idem il lunedì di riposo post-gara, speso spessissimo abbracciato al primo amore della sua vita: un’adolescente ferrarese, che lo distrae dal poter diventare ancora più bravo imparando da gente come Reja e Albertino Bigon, giovane quanto lui, forse meno dotato ma molto più ordinato.
Solo il talento lo potrebbe salvare: per lui, però, è più importante passare tempo con la sua bella. All’epoca poche risonanze e molti ‘forni’, per cui mesi di infortuni veri o presunti a coltivare la sua passione straordinaria.
Solo il talento lo potrebbe salvare: non dalle ire del presidente che lo spedisce nella Barbagia calcistica. Sassari è immersa in una zona bellissima, ma calcisticamente…
Nel 1971, dopo altri due prestiti ecco Vicenza. Il Lanerossi sarò la parentesi più fortunata della sua carriera, quel triennio che renderà immortale Ezio con qualche aneddoto straordinario; tipo il povero avversario tedesco, umiliato da tre tunnel consecutivi in una gara di Mitropa cup e salutato, al termine della performance, con un braccio teso, un forte ‘Sieg Heil’ e un cartellino rosso; o la discesa verso la propria porta in un Vicenza-Cremonese di fine campionato dal risultato addomesticato sul pari; scartò i suoi, si fermò sulla linea, fintò di tirare in porta e scagliò via la palla di rabbia. Un tifoso cardiopatico morì per la paura, Vendrame chiosò: ‘mi spiace, lo seppi dopo: ma un malato di cuore non può venire a vedere una mia partita’.
A Vicenza si costruisce una straordinaria carriera presso le signore ‘bene’, ma per come gioca tutti se ne fregano. Prima della trasferta (credo 1973) a San Siro esce dal ritiro, trova una ‘signorina della notte’ brasiliana e si fa vivo all’alba. Gioca la più bella gara della sua vita, mandando in bambola anche il grande Facchetti.
All’ombra della Basilica, però, Ezio sbocciò in tutto il suo talento e il Napoli di Ferlaino spese un bel gruzzoletto per regalarlo a Luìs Vinicius Demenezès. Franco Janich, direttore sportivo, gli dice ‘faccia lei la cifra’. Ezio chiede 20 milioni, quando a Vicenza ne prendeva otto. Franco non fa un plissé, firmano, tutti felici. Peccato che il carneade Ferradini percepisse quasi settanta milioni l’anno…
Brasileiro il trainer, carioca dentro Ezio: sembrava amore a prima vista. Pazienza se barba e capelli non facevano impazzire l’allenatore; pazienza se in allenamento non gliele mandava a dire, quel giocatore mezzo anarchico e mezzo anche; tutto filò quasi liscio, fino a quando Vendrame si accoppiò ad una ragazza cui, sembra, Vinicio stesse dietro da tempo: fuori rosa. Da lì il titolo del suo libro più famoso: sembra che all’annuncio dell’esclusione a divinis, Ezio avrebbe risposto ‘se mi mandi in tribuna godo’.
In azzurro, una mezza dozzina di gare: a ben vedere quasi quattro milioni a gara. Poi a Padova, 28 anni e carriera compromessa. Percepisce ventimila lire a punto, il minimo sindacale, ma l’Udinese gli offre (dice lui) qualche milione per giocare male una gara facendola pendere dalla parte biancanera. In quella partita all’Appiani Vendrame fa di tutto, e il Padova vince 3-2. Ad un certo punto batte un corner sotto la curva bianconera, si soffia il naso sulla bandierina e dice alla curva ‘la metto dentro da qui’.
Detto. Fatto.
Ebbi la fortuna di vederlo giocare nel 1977, in maglia Audace San Michele. Ormai a fine carriera, che si chiuse con una maxisqualifica quando, in maglia Juniors Casarsa, strappò di mano all’arbitro i cartellini, li stracciò e li gettò oltre la recinzione.
Ezio era così: un dribbling alla vita, una pernacchia ai grandi del calcio cui tanti, tutti, si prostrano come di fronte a delle divinità. Rispose male a Boniperti, che gli rimproverò la mancanza di ‘testa’, rispondendo ‘Nazionale? Non ne ho bisogno, ci gioco ogni giorno perché faccio quel ca**o che mi pare. Nessuno ha mai preso in mano il telecomando della mia vita’. Stessa cosa quando Agroppi, buon giocatore ma uomo che si atteggia ancora oggi a guru, gli disse che il giocatore perfetto avrebbe dovuto avere i piedi di Vendrame ma la sua testa. Rispose ‘Ti regalo volentieri i miei piedi, ma la mia testa non la cambio con nessuno, tanto meno con la tua’.
Generoso, Ezio: che a vent’anni regalò il suo cappotto a un senzatetto che gelava di freddo. Generoso di parole, con i suoi libri secondi solamente al suo trattamento di palla. Grati anche alla Gialappa’s band che ci hanno regalato quei suoi pensieri su Franco Scoglio, altro grande personaggio del mio empìreo calcistico.
Adesso che la partita contro il male l’ha persa, posso dirglielo: Ezio, avessi fatto altre scene ti avrei amato di meno. Io che sono vissuto, cresciuto, diventato quel che sono anche pensando che, in fondo, allinearsi fa prendere meno freddo ma lascia un amaro in bocca che fa forse ancora più male del gelo.
Segui di pochi giorni Gianni Mura, che ti amava come te: ti amava da quando facesti tunnel all’Abatino Rivera e gli chiedesti scusa. Tu, mai scontato.
Ti immagino lassù, in piedi sulla palla a scrutare l’orizzonte come spesso facevi in gara.
Ciao, Poeta: ci vediamo fra un po’.
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