Una GSA formato playoff schianta Roseto
Diciamolo, forte e chiaro: è stata una partita di pallacanestro. Vera, sentita, tirata anche quando le distanze si sono dilatate. Due giocatori di categoria superiore, Ray e Smith: ma a corollario per Roseto solo Amoroso, qualcosa da Mei e poco da Sherrod, un centrone americano per cui non farei follìe; da parte udinese, invece, tutti si sono meritati la pizza del dopopartita; bentornato Castelli, mamenzione particolare per Diop, Ferrari e Traini.
Ousmane, il virgulto di Feletto, continua nel suo processo di crescita: lotta sotto canestro, non ha paura di nessuno, tira anche da oltre l’arco senza timore. Michele “mi chiamo Ferrari, risolvo i problemi” mette tre canestri nel periodo cruciale dell’ultimo quarto, quando Smith stava trainando praticamente da solo la sua formazione risalita fino a -6 (da -19 dov’era sprofondata nel terzo periodo), e per tutta la gara fa sentire la sua solidità e il senso di appartenenza a questa maglia, lui udinese purosangue.
E Traini? Andrea confeziona, partendo dalla panca, la sua gara forse più bella in maglia bianconera: difende come non ci fosse un domani su Smith, limitandolo per quanto si possa fare contro un campione vero; gestisce il gioco senza le frenesie dei periodi più bui, quando la depressione agonistica lo attanagliava; mette due triple ed un sottomano che sigillano la partita proprio sotto la curva de(gl)i (otto) rosetani, che all’andata si comportarono non oxfordianamente con lui. Mi hanno ripreso, all’epoca, ché al PalaMaggetti non si insulta nessuno: mi baso però sul referto degli arbitri, che causò alla società del patron Cimorosi qualche euro di sanzione. Capitolo strachiuso.
Strachiuso dalla prestazione di stasera. La formazione di Di Paolantonio è stata soverchiata in ogni aspetto agonistico: nei rimbalzi, nei punti da palle perse e dai giocatori partiti dalla panca; nella difesa e nel tempo in vantaggio; nell’approccio alla gara e nell’esecuzione degli schemi difensivi ed offensivi.
Dopodiché certe volte la sorte cestistica volge il capo ove desidera: sul -7 una tripla di (credo) Mei danza sul ferro ed esce; sull’azione successiva Traini scaglia la biglia dall’angolo quando allo scadere mancavano spiccioli di secondo e realizza. Doveva andare così...
Ma Udine ha strameritato: e a differenza dell’andata il trio in grigio, a cominciare dal signor Yang Yao di Verona, non ha influito in alcun modo sull’esito finale della gara. Forse un po’ severi con la difesa friulana, ma va sottolineato che i bianchineri hanno contenuto gli avversari sempre al limite. Avrei sanzionato qualche spallata di Valerio Amoroso, uno cui piace giocare sporco (nel senso più positivo del termine), ma rispetto a quanto fatto dalla banda Lestingi a Roseto queste sono noccioline. Molto bella, per esempio, la discussione fra uno degli arbitri e Lardo, con il direttore che pazientemente spiegava nel dettaglio le ragioni di un fischio.
Udine ha vinto una gara da alta classifica: non in maniera estemporanea, come poteva essere inteso il trionfo contro Treviso.Anzi, crescendo nella gara iniziata contratta subendo gli avversari per i primi sei minuti, salvo poi sciogliere misura e, divertendosi, divertire un pubblico partecipe e rumoroso, sempre “per” e mai “contro” qualcuno (al netto dei cori finali contro un’altra formazione regionale).
Il pubblico? il settore D ha fatto sentire la pressione... Ai suoi giocatori, convincendoli che una prestazione sopra le righe era nelle loro possibilità dopo una parte centrale di campionato non positivissima; i ragazzi della curva hanno coinvolto nei cori e nel tifo anche il resto del palazzetto, che ha creato un ambiente positivo e bellissimo in cui duemilaquattrocento voci hanno sostenuto la squadra anche nel momento, all’inizio dell’ultimo quarto, nel quale gli abruzzesi si erano rifatti sotto.
Tutto bene: bella la cornice, splendido il quadro dipinto da coach Lardo (che ha preparato la gara impeccabilmente in settimana, organizzando un “tag team” su Smith) del quale i giocatori sono stati i colori. Meno positiva, secondo me, la gara messa in piedi dall’esagitato Di Paolantonio, che (privo di Fultz) ha trovato poche soluzioni per limitare i rimbalzisti bianchineri e soprattutto il venticinque dei nostri su cui alle volte usciva addirittura Sherrod...
Già, Allan Ray: stasera si è presentato in formato-Shamrock, deliziando il pubblico con alcune esecuzioni degne dei palcoscenici cui egli di certo ambisce. Se ne deve convincere: se gioca sempre così, il prossimo anno un contratto-top lo trova. Altrimenti picche, come ad inizio di quest’anno.
Cinquanta per cento di vittorie; playoff ad un passo; differenza canestri contro Roseto sistemata; e adesso obiettivo Chieti, gara insidiosa contro una formazione battibile. Abbiamo salutato da lontano Supergino Cuccarolo, che a Udine lascerà un gran ricordo per l’attaccamento e la dedizione, meno per le prestazioni. Abbracciamo Aka Fall, un centro fatto apposta per gli schemi di coach Lino.
Ma soprattutto, sigillata una ferita aperta tre mesi fa. Grazie ragazzi, grazie al dynamic duo P&M. Ora guardiamo in alto, senza paura.