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Udinese, schiaffi e carezze

di Franco Canciani

Era troppo maledettamente importante portarsela a casa; per questo a colleghi, magari anche più navigati di me, ho rimproverato il loro friulanissimo pessimismo a seguito di una gara dominata su una spocchiosa, presuntuosa ed impalpabile Samp-e-Doria. Vero: tre rigori, un’espulsione. Vero: una rondine non fa primavera. Ma non trovo costruttivo né obiettivo sostenere la tesi “perdiamo perché siamo scarsi, vinciamo perché sono scarsi, pareggiamo perché siamo scarsi noi e gli avversari”.

So di esser andato giù duro, nel passato anche recente; ma fra mille difetti mi ritengo intellettualmente onesto. Per la gara di sabato pomeriggio devo fare i complimenti ai boys dell’Aquileiense Gigi.

Ed anche a lui. sì: perché il tanto declamato Giampaolo, tecnico preparato e caratterialmente forse anche troppo modesto, dev’essere considerato il primo responsabile della disfatta del Friuli nonché sbaragliato dall’esperto collega. Puggioni ha commesso un errore da oratorio; Barreto meritava il rosso diretto per un carrinho da dietro su un avversario che si spostava lateralmente nel cerchio di centrocampo; di tiri ospiti in porta ne contiamo zero, ma la gara doveva prepararla meglio. E quando un gruppo si consegna all’avversario così, senza lottare, beh il conducatore deve assumersi tutte le responsabilità.

Abbiamo crocifisso Delneri per sei gare al netto della tregua rossoblu (genoana): per la vittoria da sei punti contro la Samp merita un applauso lungo novanta minuti, più recupero. I minuti nei quali l’Udinese, questa Udinese, si è distribuita sul campo come una squadra di calcio vera e propria, vincendo tutti (tutti) i duelli singoli nonché la sfida di squadra.

Le corsie laterali, finalmente importanti, sono risultate un incubo per gli ospiti: credo Strinić abbia visto DePaul solo ai saluti finali. L’ex partenopeo, che in settimana si era lasciato andare a dichiarazioni poco intelligenti sul modo di vivere il calcio a Napoli (dove in due anni non si è certamente meritato stipendio né apprezzamento) è stato fatto sportivamente a pezzi dal Diéz, che finalmente gioca con molta garra lasciando nulla al caso. Dall’altra parte Stryger Larsen, un errore in difesa a metà del secondo tempo, ha percorso la fascia con costanza e dedizione: deve capire solo che certe volte calciare lontano la palla è gesto cosmetico e non screditante, casomai gli facciamo leggere qualche dichiarazione di Nereo.

In mezzo Barak e Behrami menano danze che Marino Barreto (questa la capiscono solo gli anziani come me) non riesce a suonare, tanto che il povero paraguayo conclude la sua sofferenza dopo quaranta minuti di gioco. Finalmente Delneri fa marcare quasi a uomo il metrònomo avversario (Torreira) rendendolo innocuo; davanti, infine, Quagliarella (uno dei miti bianconeri, cui lo stadio tutto riserva un applauso commovente alla sostituzione del nostro) scaglia in porta da trenta metri l’unico tiro domato, senza problemi, dall’anziano Albanito. Ma lui è il Quaglia, e per me gioca sempre come se si meritasse la Nazionale.

E Duvàn? Beh, fa lo Zapata che conosciamo. Esordisce con una poderosa spallata a Bram, ma dall’azione successiva Nuytinck e capitan Gabri lo tengono così alla larga che in area, a parte un colpo di testa velleitario, non ci mette più piede. Del portiere doriano non parlo: Puggioni è un cuore blucerchiato, merita rispetto anche quando come sabato meriterebbe due in pagella. E chi fra i suoi tifosi lo ha massacrato nella solita arena mediatica, si ricordi che chi gioca col cuore dipinto dei colori della propria squadra merita solo perdòno. Piccolo inciso da chi (io) verso l’Unione Ciclistica Sampierdarenese non nutre affetto alcuno (anzi! Lo cantavano anche Baccini e De André...): la curva doriana è stata commovente per il sostegno dato ai colori fino al 95’ minuto, con bandiere garrule e cori al vento. Il calcio è loro, non certo di chi li costringe a viaggiare il sabato pomeriggio.

Tutto perfetto? Mavalà.

L’Udinese prende un bel brodino, che alla luce dei risultati di oggi però si trasforma in due punti guadagnati sulla zona rossa. Per la prima volta, forse, soffre zero pur lasciando iniziativa all’avversario per il 55% del tempo, ed è qui che muoverei l’unico appunto ai ragazzi: non siamo in grado, oggi, di gestire le gare girando palla e congelandola. Lo può fare la Roma, che arriva a San Siro stremata dai viaggi e con cinque infortunati (ultimo Strootman), patisce un po’ il Milan ma segnate due reti per sette minuti (di orologio) non fa vedere la biglia a Biglia e compagni; noi no.

Noi siamo Kuba che sprinta, De Paul che finalmente inventa, Maxi che dimostra come anche ad un’età avanzata i piedi e la testa possano guidare quella che Miha chiamava “la lavatrice”: la sua rete su azione la mostrerei a Zapata, che al suo posto avrebbe sparato contro il portiere.Sostituito Barak, entra Seko con una voglia di spaccare il mondo che neanche fossimo in finale di coppacampioni; si lancia ripetutamente verso gli spazi avversari, terminando il lavoro di annientamento di Silverstre e compagnia, già portato avanti da Lòpez e Lasagna, al solito positivissimo (peccato la rete sbagliata...).

Svolta? No. Ho contato le gare, da Strama in poi, in cui si è parlato di “partita della svolta”: sono sedici. Sedici. Questa sarebbe la diciassettesima ma stavolta non ci casco.

Per allinearmi coperto alla società, dovrei dire che siamo a -34: io invece guardo avanti, ed obiettivamente trovo un campionato spaccato in tre. Tolgo le prime sei (le milanesi, le romane, Juventus e Napoli); tolgo le ultime quattro-cinque (Crotone, Spal, Benevento, Verona, forse Genoa); lì nel mezzo si viaggia a differenze dettate dai dettagli, dai particolari e spesso dalla fortuna. Quella in cui, in un baglioniano e finalmente non leopardiano sabato pomeriggio, il mediocre Fabbri di Ravenna si scopre cuor di leone e sanziona tre calci di rigore a favore di una sola formazione. Dico mediocre, perché arbitra “a macchia”; perché per due volte falli da ammonizione in ripartenza, senza punizione per regola del vantaggio, sarebbero dovuti essere a gioco fermo sanzionati ma egli se ne dimentica; e l’ultimo, dei penalty, per quanto nettissimo poteva forse coincidere con il triplice fischio, ché tanto non si cambiava certo il mondo.

Adesso la pausa: abbiamo rimesso a posto qualcosa, ma secondo me Gigi è ancora a rischio. Spero il futuro possa essere tale da evitare questa possibilità, ed a fine anno ci saluteremo tutti senza rancori e con tante lacrime (almeno le mie). Si usino questi quindici giorni per ricaricare le pile, perché in fondo questa squadra, che sabato si è meritata carezze, dovrebbe talvolta essere presa a schiaffi per quanto sotto le proprie possibilità si comporti.

 

 


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