Udinese, anche a Bologna sventola l'aquila del Friuli
Anche in Emilia sventola la bandiera amaranto con l’Aquila del Patriarcato. E non è un miracolo.
Non è mago, Oddo; non sono diventati geni, i giocatori; ci sono però diversi dati di fatto da snocciolare.
Un mese fa, dopo il Napoli (persa 0-1, col rigorino di Jorginho ribadito in rete dallo stesso italo-brasiliano) a dodici punti si temeva l’uscita dalla coppa Italia (contro il Perugia: otto reti), e successivamente qualche collega vaticinava imbarcate di reti dal temibile Crotone. Non ho quasi mai odiato, in vita mia; nemmeno per campanile. Ma non sopporto i solòni che traggono auspìci da capipopolo, salvo (oggi) uscire con pezzi incensatòri. Tutto ciò non è successo. Anzi.
A beneficio di tutti, da quel giovedì trenta di novembre (escluso) l’Udinese ha vinto cinque volte di fila, segnato quattordici reti, ne ha subìta una ed un’autorete, oggi, che goal non sarebbe stato mai. L’ho detto ad alcuni amici: senza quella punta malefica di piede del Larangeiro il Bologna oggi non avrebbe mai segnato.
Tutto bene? No, e Oddo lo sa. Negli ultimi minuti l’Udinese si è abbassata troppo, lasciando pallino all’avversaria dotata ormai di sette punte e mezzepunte e di un portiere-capitano che a forza di correre a protestare batte il guinness dei primati per i chilometri percorsi da un estremo difensore; in porta però il BFC ci arriva poco. Due, tre contropiedi bianchineri meritavano sorte migliore; la gara andava chiusa, ma è stata vinta e solo un mese fa da quello 0-1, maturato così, non saremmo mai usciti.
Tutto male? Non scherziamo. Al netto della manita, questa squadra è cresciuta in maniera esponenziale; possono essere schierati elementi diversi ma il suo rendimento globale non cambia. Reagisce, con la faccia tosta che si confà al DNA friulano; subisce ma rimonta e trema il giusto contro una squadra non banale, ben allenata dal Dona, che può contare su pregevoli individualità.
Nel dettaglio eccellente la prova di Albano Bizzarri: chiamato alla parata si disimpegna con bravura, esperienza (ovvia) ma con la velocità, fisica e di pensiero, di un ragazzino. Cresce ancora Kevin Lasagna: saluta con l’altra mano il giocatore di serie inferiore che accogliemmo a luglio, e ne siamo lieti. Solido il solito Barak; rischia Behrami, precauzionalmente tolto quando era in odore di secondo giallo a causa di una barriera frangiflutti erta davanti alla difesa un pochino troppo fallosa. Buono l’impatto di Rodrigo de Paul, che ha capito di poter divenire arma tattica importante anche subentrando. Si presenta al 46’ in vece di Maxi, e pronti-via offre a Lasagna il comodo raddoppio.
Buono l’impegno sulle fasce di Widmer e Alì Adnan Khadim Al Tameemi, che confezionano un bellissimo pareggio nel momento in cui il Bieffecì pensava, nel primo tempo, di averla già in mano; qualche problema all’inizio, ma tutto sommato a Verdi, Masina e compagnia rossoblu non si sono lasciati troppi spazi golosi. E la difesa? Lasciamo stare l’autorete: concedere a questo Bologna, giunto alla sfida contro l’Udinese in piena autostima solo qualche estemporanea occasione (le due di Destro) è positivo. Samir rientra e pare il fratello bravo di quell’inguardabile brasiliano che incornava nella propria porta contro la Juventus. Larsen, dall’altra parte, è forse il migliore dei tre (salvo un errore di concentrazione dopo pochi secondi).
L’avrete capito: a me dispiace paragonare l’Udinese dell’Aqvileiense a questa; anche perché, obiettivamente, c’è ben poco da comparare. Sono infatti due formazioni diametralmente opposte, come due parabole che componessero orbite speculari di un sole ed un asteroide pronto all’autodistruzione. Certo: non le vincerà tutte, Massimo. Ma per ora continua ad accumulare meriti.
E questo, cari amici miei biacca e carbone, è patrimonio di chi ha fame di arrivare, l’umiltà di doversi confrontare col calcio dal basso di un’esperienza ancora breve ma dall’alto di un’idea di calcio precisa ed adattata agli interpreti a disposizione. In grado di stringere le fila di una squadra all’inizio lunghetta, rendendola una macchina da guerra pronta a nuocere.
Lunedì scorso, durante una trasmissione radiofonica, il direttore Pontoni sosteneva (a ragione) che di Oddo lo spogliatoio abbia rispetto, suscitando le ire composte ma decise di qualche ospite attorno a lui. Ricordo loro, ed a me stesso per primo, che il rispetto non si chiede, si ottiene; e Massimo lo ha ottenuto con poche parole, ben spese e ponderate, e con il lavoro sul campo che sta dando i frutti desiderati da tutti: da tanto, troppo tempo attesi.
Tutto il resto è fuffa, noia, prosa spesa vanamente a difesa od offesa di qualche orticello personale. Contano i punti, conta come arrivano: meritatamente, come oggi.
Certo, fossero i felsinei pervenuti al pareggio nessuno scandalo si sarebbe sollevato: ma non è successo, nemmeno negli inconcepibili sette minuti di extratime concessi dal modesto Gavillucci. Per questo sono certo della liceità della vittoria.
Gavillucci, dicevamo: il trentottenne pontino è chiaro esempio della nouvelle vague arbitrale, quel 2.0 che tanto piace ai commentatori televisivi ma non a noi. Quell’ondata di fischianti legati a doppio filo all’auricolare, fuori dal quale non prendono decisioni ad eccezione della normale amministrazione, oggi pure discutibile (da entrambe le parti). Il rigore era così solare che avrebbe dovuto fischiarlo senza indugio: invece aspetta un cenno, qualcosa che arrivi dal collega sputato dalla terra natìa il quale probabilmente asciugava una lacrima ormai seccata da ieri sera e lasciava perdere. Helander, il quale con la propria altrettando modesta qualità rende palese il fallimento della nazionale azzurra, ringrazia ed intasca una rimessa dal fondo che sa tanto di possibile 1-3 evitato.
Scherziamo? Sì: ci piace giocare col contorno, cosa che irrita i puristi dello sport agonisticamente giocato e commentato e che noi, vestiti a bella posta di puro cachemire (auguri all’amico Ernesto che tanto ama questa nostra espressione), abbracciamo accompagnandoli su altri lidi, più seri e forse autorevoli. Siamo e rimarremo sempre giocolieri della parola, schiavi di una finta qualsiasi, eseguita da un terzino mediamente impostato, su cui comporre versi esaltati.
Altra però è la ragione per la quale a Massimo dico grazie, ed è puro endorsement: ad agosto sostenevamo che questa rosa fosse stata assolutamente migliorata, pur riconoscendo la mancanza di un centravanti di ruolo. Fummo giustamente sbertucciati, noi uomini asserviti alla società; un tifoso mi ha considerato “degno membro di una categoria indifendibile”. Abbozzammo, era giusto fare così, mentre ad Udine passavano Chievo, Cagliari; mentre la Juve in dieci ci faceva a pezzi; mentre “a” S.P.A.L. si perdeva una gara inaccettabile. Tenemmo il punto, ammettendo che la squadra era disposta in maniera discutibile. Oggi lo urliamo: questo gruppo di giocatori, il cui spogliatoio sembra essere stato ricostruito, non è affatto male. E lo ribadirà.
Bologna era un banco di prova importante, che l’Udinese ha superato con intelligenza, resilienza e cinismo. A Verona, ora, per mettere la sesta contro un Chievo che viene dall’aver concesso, bontà propria, la prima vittoria in massima serie ai sanniti di De Zerbi.
E prima di allora, amici miei bianchineri, Vi arrivi l’augurio di una fine '17 calcisticamente, umanamente, personalmente serena ed un principio d’anno nuovo ancora, se possibile, migliore.