Tre punti di paura, non di sofferenza
Tre punti di paura. Non di sofferenza
Povero Bucchi: niente gioco, niente tiri in porta (una punizione inventata dal pessimo, al solito, Tagliavento parata da Albanone), niente idee e tanti sputi in terra da parte dell’ex punta perugina. Pensando a formazioni peggiori di questa Udinese non avevo incluso il Sassuolo, edizione modestissima e superata, in tristezza, solo da uno stadio talmente vuoto che i cinquanta eroi bianchineri in curva parevano tifare in casa.
Un primo tempo di attenzione, una bella rete di Antonin Barak, una ripresa di puro catenaccio: l’Udinese di questi tempi non è in grado di proporre spettacolo, tre punti maledettamente importanti alla faccia dell’estetica eupallica stasera totalmente fuori luogo.
Nove punti in dieci gare; una rete finalmente inviolata, obiettivamente collaborazione fra una difesa friulana tutto sommato tranquilla ed attenta (ma Danìlo ogni tanto potrebbe uscire pipa in bocca anziché spazzare come fosse di fronte a Higuaìn) ed un tridente neroverde del tutto spuntato, nel quale Falcinelli è irriconoscibile, Politano confusionario e Berardi un’edizione triste del campione che fu. Ci abbia forse visto giusto chi non ha inteso investirvi caterve di svanziche?
E nemmeno l’ingresso di Matri, ormai un attempato tuffatore che la palla la vede col binocolo, cambia le cose per il povero mister romano che si innervosisce, inveisce, si sbraccia, urla: Di Francesco, penseranno i venti paganti sassolesi, era tutto sommato altra cosa.
Delneri salva la ghirba con un centrocampo duro e giusto; inspiegabile l’impiego di Matos, simpatico e volonteroso ma “quella roba lì”; Jankto me lo sarei aspettato in porta, al posto di Bizzarri, con la maglia blu “numero uno” omaggiata dal Gigi carrarese; facezie a parte, gara confusa e arruffona, non il miglior Kuba di certo. Delneri si presenta in sala stampa rimproverando chi domenica passata si era lamentato. Luigi, non è cosa: sei reti al passivo avendo anche cercato di coprirsi non possono essere bilanciati da “per 60’ abbiamo tenuto testa alla Juve”. Dai, fai il bravo.
Davanti Lasagna e Perica si sono visti solo sulla rete (bella) di Antonino, per il resto poche palle giocabili e tanta corsa, come sempre, a rincorrere l’avversario. Il quale, nel primo tempo, perde trenta palle e ne recupera dodici: più che una gara, uno spot per la pallavolo. O il cricket.
Sono contento per Gigi l’Aquileiense, ma domenica deve incontrare l’Atalanta. La quale, per inciso, gioca un filino meglio degli emiliani, da oggi ufficialmente candidati alla retrocessione assieme al povero, derelitto Benevento (se continua così retrocederà a fine andata), alla sopravvalutata S.P.A.L., ad un Verona in crisi di gioco e risultati, al Crotone di Vrenna oggi battuto a Roma da un rigore farlocco. E l’Udinese, al solito, se la sfangherà: ma anche quest’anno il bel gioco lo vediamo l’anno prossimo.
Stasera non spendo le solite mille, eccessive battute per una gara che mi ha depresso per il livello, ancorché leggermente consolato per il risultato (e basta). Un solo, piccolo inciso per il caso del giorno.
“Siamo tutti Anna Frank”; corone di fiori al grido di “namo, famo ‘sta sceneggiata”; tutti contro l’antisemitismo della curva laziale.
Io non sono Anna Frank oggi. Lo sono da sempre. Lo sarò sempre. Lo sono perché a Bergen-Belsen, dove la quattordicenne olandese fu “terminata” per la colpa d’essere ebrea, era stato destinato mio nonno, prigioniero politico assieme ai suoi “compagni”. Lui, alto e grosso, strappò una finestra del vagone (non piombato, per fortuna) e “si dette”; i suoi amici non li rivide più.
Fra due giorni nessuno sarà più Anna Frank: il mondo trita tutto con la velocità della luce. Il mondo del calcio dimentica velocemente, perdona, lascia stare, “ssò ragazzi”: teste dei nemici sul vassoio o senza la propria; croci celtiche; onore alla tigre Arkan; boia chi molla, me ne frego, Aronne Piperno romanista ce li siamo già dimenticati? E “livornesi ebrei, nei forni vi brucerei”?
Spero tutta la polvere sollevata per beccare quattro imbecilli di cui si sa, da molto tempo, vita morte miracoli non sia la solita fanfaronata che non darà luogo a nulla. Senza scordare che queste cose non succedono solo nella curva Nord romana. Già dimenticati i “-39” esposti dai tifosi viola allo Stadium torinese, ricordando quasi con gioia le vittime dell’Heysel? Sono davvero meno gravi dello sfregio al ricordo di Anna Frank? E se ci riferiamo all’antisemitismo, non mi si dica che servono leggi speciali: le leggi ci sono, Fiano sta anche cercando (ma non servirebbe) di inasprirle, basterebbe applicarle. E no: niente carcere. Piuttosto servizio socialmente utile, tutte le domeniche, da oggi al 2040: nei musei ebraici, nei ghetti, alla Risiera di San Sabba.
Quando sono entrato nel museo della memoria dello Yad Vashem, dove sono ricordati con targhe di bronzo tutti i campi di concentramento nazisti con le vittime cadute in ognuno, la mia storia familiare mi ha causato una tale emozione che ho smesso di singhiozzare solo mezz’ora dopo. Come un bambino. Non pretendo la stessa empatia da parte dei cerebrolesi che si divertono con gli adesivi antisemiti. Però basta con la ridicola punizione del “daspo”: adesso è ora che questa nazione ridiventi uno stato di diritto.
Sarò Anna Frank: quando il polverone si sarà depositato. Oggi per me sarebbe troppo facile sentirsi parte di una grande famiglia morale. Anche con tre punti in tasca, punti che valgono triplo.