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Tra l'ottimismo di Gravina e il realismo di Spadafora la stagione può terminare qui

di Stefano Pontoni

Si ricomincerà a giocare o la stagione terminerà qui? Di primo acchito, le parole del presidente della FIGC Gravina sanno di ottimismo e quelle del Ministro dello Sport Spadafora reclamano realismo. È una chiave di lettura, non l'unica. Perché la convinzione del presidente federale parte da un altro assunto: non ripartire vuol dire mandare in fumo 700 milioni di euro, lo abbiamo già scritto tante volte. Una batosta micidiale, per i bilanci sgangherati del nostro calcio.

La reggeremmo? Chi lo sa. E allora anche voler tornare a giocare a tutti i costi diventa realismo, di altra natura: senza ripresa, il rischio di un crollo strutturale è dietro l'angolo. Too big to fail è un mito, lo abbiamo già imparato in altre circostanze e altre crisi. A voler usare toni drammatici, l'alternativa all'accanimento terapeutico è staccare la spina. Cosa che nessuno si augura. Le considerazioni del Ministro, d'altra parte, hanno una loro verità incontestabile: oggi non siamo ancora in grado di dire quando si potrà riprendere normalmente la vita quotidiana, e di consguenza anche il calcio.

C'è una questione poi di tempi, di settimane che servono per completare il tutto ma non ci sono. Per capirsi, giocare (almeno) 13 partite in 40 giorni sarebbe un vero e proprio tour de force. Pronto a diventare qualcosa in più, se dopo poche settimane dovesse ripartire un nuovo campionato, magari da 22 squadre, con tanto di Europeo in fondo alla stagione. E non di soli soldi si vive, se è vero che per tornare a giocare sarà necessario garantire l'incolumità degli atleti, degli altri addetti ai lavori, se ci potranno essere degli spettatori. Tra realismo e ottimismo, in questo momento, una ricetta non c'è. Non possiamo che stare a guardare il corso degli eventi. E sperare di non darla vinta al nemico invisibile. 


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