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Fabio Quagliarella, ovvero l’elogio della passione

di Franco Canciani

Correva l’anno 2016: un giocatore, di 33 anni, era in uscita dal Torino. Si sa quanta voglia avesse di tornare a Udine, una delle piazze (assieme a Napoli) a lui più cara.

Qualcuno, esperto del settore, disse che non ci si poteva affidare ad un attaccante ormai finito, bollito, vinto dalle esperienze del campo. 

Fabio scelse la Samp, squadra che gli andava a pennello e in cui aveva militato per una (felice) stagione, prima di approdare al Friuli nel 2007.

Ad oggi, con la gloriosa maglia blucerchiata quel giocatore finito, bollito, vinto dalle esperienze del campo ha disputato 120 partite realizzando 61 reti, una ogni due gare. Una ogni due gare.

Ieri sera lo Stadio Friuli tutto ha riaccolto, con la maglia numero 21 (come le sue reti attuali in serie A, da capolista), il ‘suo’ Fabio Quagliarella con un boato esemplare, un ‘Fabio, Fabio’ che ha emozionato lo stabiese; non al punto però da impedirgli di sfiorare per due volte la rete nei dieci minuti concessigli.

Al termine della gara Fabio, uomo di cuore, vero hombre vertical si è commosso ripensando alle anime che lo hanno invocato sin dal momento in cui Mancini gli ha ordinato di iniziare il riscaldamento. 

Perché Fabio è uno dei ‘panda’ del nostro calcio; proprio qui giace il vulnus della nostra, potenziale, biancanera storia con lui.

Chi all’epoca ne giudicò limitato il futuro e modesto il potenziale apporto si basò sulla carta d’identità e su preziosi orologi da polso che segnano spesso un tempo alieno; anziché, invece, scendere nel nostro agone e condividere con noi una parola che fu scritta sul colletto di magliette sintetiche, ma mai compulsata veramente.

Passione.

Fabio se ne sbatte del tempo; Fabio se ne sbatte dell’età, della durezza di quanto la vita gli ha posto di fronte (chi si dimentica il suo calvario personale è inumano e criminale); se ne sbatte degli ingaggi, ne ha ricevuti a sufficienza. Fabio vive per il calcio: per la passione che ci mette, per l’orgasmo vero seguente ogni rete gonfiata; per l’abbraccio dei suoi tifosi, doriani ma non solo, quando dopo aver realizzato il punto si issa sui tabelloni pubblicitari a braccia larghe.

Già: non c’è tifoso, avversario o rivale, che possa odiare, detestare, denigrare Fabio: uomo trasversale, unisce tutti sotto la bandiera della passione: che non ha colori ma solo emozioni.

E sì, lo penso: non riprenderlo da noi, qualunque sia stata la ragione preponderante, è stato un errore.

Lo dicemmo già all’epoca, non tacciateci di ‘facile profezia’: Fabio avrebbe scritto con noi una storia diversa.

Complimenti a Ferrero e Osti per averci creduto. E a Mancini per avergli regalato, dopo nove anni, il rientro in Azzurro proprio a casa nostra. A casa sua. 

Un abbraccio, Fabio. Fabio, uno di noi.


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