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Di Natale: "Essere una bandiera è una cosa che mi fa orgoglio. A giugno..."

di Stefano Pontoni

Il capitano dell'Udinese, Totò Di Natale, si è raccontato in una lunga intervista rilasciata per il Corriere dello Sport. Passato, presente e futuro del numero dieci bianconero che ha ancora tanta voglia di mettersi in gioco nel mondo del calcio, a partire da domenica nella partita che la sua squadra affronterà contro il Cagliari.

Come ci si sente tra i dieci cannonieri della storia del calcio?

«Mi fa piacere. E’ un grande onore. Io, tra gli attaccanti più forti... vuol dire allora che qualcosa ho fatto...».

Perché aveva dei dubbi?

«No, no ma a volte anche sì».

Può essere tranquillo, ora è decimo con Batistuta. Facile, no?

«Ci vuole poco a seminarlo e salgo ancora».

Allora vede che ci tiene?

«Un po’. Ora punto a Del Piero, mi servono quattro gol e lo raggiungo. Ce la farò? Credo di sì... Scherzi a parte sono felice. Sono in una classifica di grandissimi. C’è Francesco Totti, c’è Signori, c’è Baggio. Vedere là anche il mio nome, beh... mi fa un certo effetto».

Quindi non smette, lo dica.

«No, no a giugno vediamo. Ora sono utile all’Udinese, i miei gol possono ancora servire».

Tutto qui? E’ un po’ riduttivo. Diciamo che ogni anno tira fuori questa storia che lascia, che dice basta, così le allunga la carriera...

«Magari, ma non è così. L’età c’è e non posso nasconderla. Ma fino a giugno aiuto l’Udinese a salvarsi, anche se la squadra non avrà problemi di questo tipo. Qualche gol ho ancora voglia di segnarlo. Non lo so, poi vedremo...».

Ma 184 reti qualcosa vorranno pur dire nella sua testa?

«Me le ricordo tutte. Sono importanti, accidenti. Contano tantissimo. Non sono stato mica uno che ha fatto tanti gol un anno e poi è sparito. Io sono sempre stato là. Non è un caso. E’ difficile segnare molto, ma ancora di più farlo con continuità. La differenza tra uno normale e un campione credo sia questa. Quindi...».

Cosa?

«Un po’ bravo lo sono anche io e posso stare tra quei grandi».

Ma se si volta indietro, forse trova qualche altro merito.

«Sono stato anche fortunato, non capita a tutti voler fare una cosa e riuscirci».

Non ha un rimpianto confessabile?

«Ho fatto la Champions, la Uefa, due Europei e il Mondiale. Avrei potuto vincere di più altrove, ma ho fatto una scelta. E non sono pentito».

Lo giura?

«Rifarei tutto. Penso a Totti, anche lui avrebbe potuto lasciare la Roma e andare a giocare altrove, non so, Barcellona, Real. Invece è là e non si muove. Io ho fatto la stessa scelta e sono contento. Perché il calcio è tutta la mia vita, ma ha sempre contato farlo alle mie condizioni, come volevo io, senza snaturarlo o cambiarlo».

Le chiamano bandiere, lo sa?

«E’ una cosa che mi fa orgoglio. Io inseguivo un sogno e l’ho realizzato: gioco a calcio, una cosa che so fare bene e vivo con la mia famiglia. Non esiste un livello superiore di felicità, sto bene così».

Non è pentito di quel no alla Juve?

«No. Giusto così, per me e per tutto quello che ho detto prima. Udine è la mia casa, finirò la carriera qui. Avrei potuto accettare diverse offerte, anche la Roma due anni fa per esempio, o il Napoli, l’Inter. Ma è giusto restare qui».

E’ stato il bomber di diversi ct azzurri: anche questo vuol dire qualcosa?

«Trapattoni mi ha fatto esordire e ha un posto speciale, poi ci sono sempre stato. Lo sanno i ct, io non chiedo, sono qua».

Suo figlio gioca a calcio. Inevitabile... Come il ruolo, no?

«Fa un po’ tutti gli sport, ma gioca a calcio, sì. Sta davanti, come dargli torto. Si diverte. Ma fa tutto da solo, deve trovare la sua strada. Io non vado neanche a vederlo, sennò poi pensano che voglio che giochi o gli altri genitori dicono qualcosa. No, no, non vado. Sono contento così, ma c’è anche la scuola, però».

Lei da ragazzino invece era terribile. Raccontano che al primo provino sono dovuti venire a cercarla perché era sparito...

«No, non è così. Eravamo in quattrocento e io mi ero scocciato di aspettare. Ho preso un pallone ed ero per strada con gli amici a giocare. Poi sono venuti a chiamarmi: ho segnato tre gol in dieci minuti e mi hanno preso quelli dell’Empoli».

Ma anche da Empoli è scappato, vero?

«Prendete uno di Napoli e portatelo a Empoli e poi vedete cosa succede... Facevo fatica. Ero da solo, la città era piccola. Così sono tornato a casa. Vincenzo Montella mi è venuto a riprendere. Cosa mi ha detto? Ora non conta, ma aveva ragione. Mi ha fatto capire che era la mia occasione e che dovevo fare vedere quanto valevo. Vincenzo è un grande, è stato un attaccante forte e oggi da allenatore sta dimostrando che è uno tosto. E la Fiorentina gioca bene».

Lo scudetto chi lo vince?

«Ah, saperlo... La Juve è troppo forte là davanti, Roma e Napoli meritano di giocarsela fino alla fine e credo lo faranno. Se non ci fosse stata la Juve, chissà...».

Quando smette, Di Natale cosa farà?

«Andrò a caccia di ragazzi che inseguono un sogno e li aiuterò a realizzarlo. L’allenatore? Non so, ma il dirigente del settore giovanile sì. Mi piacerebbe lavorare con i ragazzini, ce ne sono tanti, molti si perdono perché non hanno una occasione. Eppoi sarebbe una cosa utile per la Nazionale, con tutti gli stranieri che ci sono in Italia, se qualcuno non pensa ai giovani... restiamo senza. Sarà come un ritorno al passato per me. Ricomincio da dove sono partito».


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