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Delneri: "Qui per passione, voglio far innamorare i tifosi. Il modulo? Si parte dal 4-1-4-1 ma..."

di Francesco Digilio

Gigi Delneri tra un paio di giorni tornerà a sedersi su una panchina di Serie A, lo farà su quella dell'Udinese, squadra della sua regione, il Friuli, e contro una sua ex-squadra, la Juventus, con cui raccolse solo delusioni qualche anno fa. Ai microfoni della Gazzetta dello Sport il tecnico bianconero si è raccontato ed è partito proprio dalla sfida di sabato, contr "una squadra che sembra imbattibile. La si affronta con dignità, sapendo che solo lei può concederti qualcosa e tu devi essere bravo a sfruttarla. Già quando c’ero io la società progettava in grande, manca soltanto la Coppa dei Campioni. Aver lasciato il club bianconero è il mio rimpianto più grande. Si ruppe Quagliarella, che era già a 9 gol. Oggi il simbolo della Juve è Buffon, uomo onesto, corretto e responsabile. Cosa mi ha spinto a tornare ad allenare? La passione, solo quella. Amo ancora l’erba tagliata. Vede, i soldi li ho fatti, avessi voluto farne altri sarei andato all’estero. Ma questa è la mia vita e credo che il calcio sia una di quelle cose che non hanno età. Il calcio è fatto di idee, se le hai vai avanti. Io ho un vero amico, Edy Reja, friulano come me e più grande di me. Ci siamo visti la settimana scorsa, può ancora stare in panchina". Delneri ha ancora voglia di fare l'allenatore, anche se i tempi sono cambiati ed ora deve confrontarsi con ragazzi quasi tutti stranieri con tatuaggi e smartphone: "Parlo molto con loro. Mi rapporto facendo l’allenatore, ma se hanno bisogno ci sono. Anche se per le confidenze di solito vanno più dal vice. Che ora è Giuseppe Ferazzoli, che fu mio giocatore a Terni". Il tecnico dell'Udinese è orgoglioso di allenare in Friuli: "Tanto. Spero di far innamorare i tifosi. Andai vicino all’Udinese due volte: prima della Samp e prima che prendessero Stramaccioni. Conosco i Pozzo da anni perché allenavo la Pro Gorizia dove era presidente il fratello di Gianpaolo. Che squadra ho trovato? Giovane. Giù di morale. Ci sono tante culture da assemblare, ma non dite che sono tutti stranieri perché tanti di loro giocano qui da anni. Il calcio ormai è un’azienda. Io devo insegnare a stare in campo, è la cosa che amo. Pozzo mi ha chiesto di dare una fisionomia e praticare un calcio propositivo. Voglio insegnare a stare in campo e non aver paura, soprattutto di passare la metà campo. Erano un po’ frenati. Uso solo il 4-4-2? È il dato più eclatante, ma io ho fatto bene anche a Bergamo con il 4-2-3-1, e quanto rese Ferreira Pinto". Poi un focus sugli obiettivi dei bianconeri e sul probabile modulo di gioco: "Metto anche io il cartello dei 40 punti. L’idea di base è un 4-1-4-1, che può diventare 4-3-3, a voi giornalisti piacciono questi numeri. Ma il concetto è: do palla e mi muovo. Non esiste più la staticità, voglio intensità. Cercherò di far giocare i giovani, questa è la strada, in Europa giocano a 18-19 anni. Dobbiamo arrivarci". Infine, focus sui singoli: "Samir è un buon centrale che può fare il terzino sinistro, Adnan posso solo dire che ha un sinistro micidiale può difendere meglio, Perica è un combattente, lotta, Thereau è motivato, ha lavorato benissimo in questi giorni, Widmer è un esterno basso. Ma qui gioca chi sta meglio, non ci sono titolari. I calciatori hanno un solo compito: mettermi in difficoltà".


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Venerdì 13 dicembre