Cinque anni per rivedere un'Udinese così: Bravo, Massimo
Cinque anni e mezzo. Tre milioni di minuti, o giù di lì. Un’eternità per rivedere un’Udinese formato squadra che gioca al calcio.
No: con Strama, Colantuono, De Canio, Iachini, Gigi solo sprazzi: oggi invece, di fronte alla più in forma del campionato (imbattuta dall’anno passato) i bianchineri hanno fornito una gara dai due volti, entrambi però vincenti.
Un primo tempo di resilienza pura, dove l’Inter attacca a testa bassa (sempre dalla propria destra, dove Candreva punta Ali Adnan Khadim Al-Tameemi, ventiquattrenne iracheno di Baghdad con estrema regolarità) ma i pericoli per Bizzarri sono obiettivamente pochi; fondamentalmente una capocciata di Miranda ed un gioco di prestigio di Perisic contro un distratto Widmer. Dopo la combinazione vincente Sylvan-Kevin e la replica immediata nerazzurra (chiusura modesta di Stryger contro Icardi) di parate di Bizzarri non ne ricordo. Tanti calci d’angolo, mille cross di Candreva (stile Italia-Svezia) ma un pari portato a casa con tranquillità.
Dopo il thé, cambia la musica: i padroni di casa si siedono, aspettando sul fiume un errore difensivo bianchenero che non arriva. I ragazzi di Oddo, invece, alzano il baricentro creando pericoli seri per Handanovic, che si esibisce in una delle sue parate assurde su un tiro a botta sicura di Lasagna.
Tanto tuonò che piovve: cross di Widmer, Santon palleggia con la mano e Mariani spera che la palla sia uscita. I minuti VAR sono di assoluto terrore per il mediocre ed asservito fischietto di Aprilia: la sua corsetta verso lo schermo, quando lo avvisano che la palla non era uscita e che avrebbe dovuto dare rigore agli ospiti, assomiglia al miglio verde di Edouard Delacroix. Rodrigo porta di nuovo avanti i suoi.
Di lì in poi è sinfonia bianconera, che avanza a folate, segna la terza rete con Barak, rischia di rimpinguare il bottino. Dall’altra parte parata accademica di Bizzarri su Gagliardini e traversa di Skriniar, stop.
Questa è una gara di svolta: e lo dico per diverse ragioni.
Intanto Massimo Oddo, che non è un pirla (cit.), ha saggiamente ripercorso i passi di Francesco Guidolin: tre in difesa, cinque a centrocampo e un paio lì davanti, a dar noia all’avversario.
Poi ha variato il tema tattico in corso di gara, modulando con umiltà la propria squadra al momento dell’avversaria.
Ha messo DePaul in mezzo al campo, ricevendone una prestazione da San Siro. Pare quasi che la testardaggine di Gigi ci abbia perso questo giocatore per un anno abbondante: Massimo è arrivato, lo ha messo in panca, lo ha motivato ed oggi da trequartista ha giocato da otto.
Infine ci ha permesso di rivedere le gloriose folate offensive: ovvio che Danìlo si porterà fino alla fine il vizio di scavalcare il centrocampo con lanci lunghi, spesso inutili data specificità e taglia fisica del puntero friulano, ma nella ripresa si sono riviste azioni aperte, marchio di fabbrica dell’Udinese-splendor di qualche anno fa. La terza rete, Rodrigo-Kuba-Antonino, è quasi un tre contro tre da allenamento cestistico: continuiamo così.
Il passato: parliamo di rose, formazioni, momenti storici diversi. Non scordiamo mai la (anche recente) tristezza da cui proveniamo. Non scordiamo che solo un mese fa si perdeva, male, col Cagliari e tanti (non noi) vaticinavano di retrocessioni imminenti, di denari paracadute, di società assente.
Ribadisco, da delneriano, che Oddo è la persona giusta al momento giusto, sulla panca di una squadra che probabilmente raggiungerà con comodità posizioni intermedie, dove potrà assistere e non partecipare alle lotte al coltello per salvarsi.
Nel dettaglio ottimo il centrocampo udinese, Barak in testa; ha tenuto il campo benissimo di fronte a Borja, a Brozo, a Vecino. Jankto è uscito alla distanza, Fofana migliore in interdizione ma ancora latitante in avanti, dove sbaglia un rigore in movimento.
Buona la difesa, dove Bram e Danilo hanno controllato il miglior attaccante della categoria. Sorprendente Larsen, che va morbido sulla rete di Icardi ma chiude spesso con buona puntualità.
In calo rispetto alle recenti prestazioni, il giocatore Ali Adnan Khadim Al-Tameemi, ventiquattrenne iracheno di Baghdad. inizia bene, ma si abbassa troppo quando Vecino e Candreva lo puntano e va in affanno. Da rivedere.
Dall’altra parte Sylvan commette una widmerata quando Perisic lo beffa, ma non paga dazio e propizia prima rete e rigore.
Davanti ottimo Lasagna, che da punta centrale mette in difficoltà la miglior difesa del campionato. Skriniar e Miranda lo soffrono per dinamismo e differenza di passo, e sottoporta se lo dimenticano permettendogli un tap-in puntuale.
Gli allenatori? Spalletti perde la gara, ma anche la sfida personale. Prende tre pallini dall’Udinese, rischia in un altro paio di occasioni e la cosa migliore che esce da quella boccuccia santa e toscana è la necessità di rinforzi. La verità è che il suo talento ha coperto le magagne che sono costate il posto a DeBoer (il quale non se ne sarà nemmeno accorto) e Pioli, cioè la dipendenza totale e assoluta dall’uggia e dalle mattane di Brozo e Perisic, al netto di un centrocampo completamente cambiato e nel quale il miracolo-Gagliardini non trova posto da titolare. Oggi, però, dell’Udinese ha capito poco: ha puntato con decisione solo la costola sinistra della difesa biancanera, battezzando Ali Adnan Khadim Al-Tameemi, ventiquattrenne iracheno di Baghdad, come punto debole; così facendo ha tolto ritmo a Perisic, che se lasciato troppo fuori dal gioco si irrita, si inquieta, inizia a spalatizzarsi autoemarginandosi. Non ha mai provato una percussione centrale, troppo poco spesso tiri da fuori. E non credo i nerazzurri siano talmente anarchici da non rispettare in alcun modo i dettami del tecnico: forse, stavolta, il mister avversario l’ha preparata meglio di lui.
Ecco, chiudo proprio con questo: io non so se siamo tornati, ma sicuramente oggi la Biancanera torna a dare fastidio all’establishment biancorossonerazzurro.
Perché? Perché le reti lombarde, fitte di personaggi alcuni volutamente comici, altri decisamente imbarazzanti hanno masticato male la sconfitta. Eppure ci dovrebbero essere abituati.
Alcuni fra questi, colgo fior da fiore, hanno sostenuto con sguardo vuoto che “meritavamo (l’Inter, n.d.a.) un quattro, cinque a zero nel primo tempo; due reti regalate, un rigore così... mah...”. Ci sta, per l’amor di Dio, per chi sceglie la squadra forte che vince spesso anziché farsi scegliere da una che accenda la passione n’importe quoi. Un altro, credo un personal trainer dell’hinterland, ha sostenuto testualmente “si, ma che partita ha preparato Oddo? Difesa e contropiede, ed un rigore dubbio...”. Sette giorni prima questo signore era in brodo di giuggiole per il pullman parcheggiato da Spalletti davanti ad Handanovic, mentre la Juve attaccava da ogni parte.
Infine un glorioso ex-speaker radiofonico nazionale, per il quale vale la scusa di una malattia che lo ha colpito e segnato; ciò non lo autorizza a chiamare la gloriosa Udinese “squadretta” e i nostri sacri bianco e nero ”coloracci”, solo perché gli ricordano quelli torinesi. L’educazione non deve variare in base a età, sesso, stato di salute: e dato che la società bianconera, così come tutte le altre, legge vede ascolta tutto e tutto archivia, ecco la nostra (nostra) società dovrebbe mandare qualche amichevole messaggio invitando questi sedicenti esperti a esprimere le proprie idee senza mancare di rispetto a formazioni che saranno sì meno ricche nel palmarés, ma capaci, dal basso di diciotto punti in rango, di muovere cinquecento anime al seguito, di sabato pomeriggio in un dicembre sinora glorioso. Già, caro Faustone: oggi la squadretta non vestiva certo quelli che Lei chiama coloracci.
Bravo, Massimo: dopo la sconfitta col Napoli qualcuno ricordava lo zero nella Tua personalissima casella delle gare vinte; oggi sono già tre, di cui due in trasferta. Otto reti realizzate, una subìta. Ci sono voluti cinque anni, vediamo di non ricadere nell’anonimato di un’altra attesa lustrale.