Basket: quale futuro?
Sono passati due giorni da quando la FIP ha diramato i due comunicati con cui ha ufficialmente chiuso A1 e A2, come ormai era nell’aria da quando un quotidiano sportivo nazionale aveva fatto uscire notizie in tal senso; quello che resta è il nostro senso di vuoto, acuito dalla convinzione di aver assistito ad un coitus interruptus, a qualcosa che sarebbe potuto essere bellissimo e invece verrà derubricato, in futuro, come ‘mai successo’.
A me resta un’A.P.U. sulle montagne russe, che ha iniziato alla grande, ha subìto una flessione ma, una volta recuperati gli infortunati e sistemato il roster, stava scalando la classifica raggiungendo le posizioni che le competevano. La dea della pallalcesto ha tenuto una mano sulla testa dei ragazzi di Pedone, Micalich e Ramagli quando, in trasferta a Piacenza; ancora di più quando ha evitato quella di Montichiari, nel bresciano, che avrebbe potuto rappresentare per Udine (in scala minore) quel che per la bergamasca è stato Atalanta-Valencia a San Siro.
Sono sempre stato contrario alla sospensione, anzi chiusura delle contese; obiettivamente, però, per quanto tardiva la decisione della FIP è ineccepibile. Non ci sono le condizioni di riprendere le gare, con tempistiche medio-brevi, senza che gli equilibri ne risultino falsati.
Primo, perché molte formazioni hanno perso i giocatori americani, rientrati in patria quando qui stava scoppiando l’inferno e oltreoceano ancora ci scherzavano sopra. Richiamarli in Italia potrebbe essere lungo, indaginoso e difficile, al netto delle ovvie quarantene: non è detto, infatti, che avessero tutta questa voglia di onorare i contratti, specie se la stagione si fosse protratta oltre un certo limite (cosa che, in alternativa alla chiusura, sarebbe stata quasi matematica).
Secondo, perché si sarebbe dovuto giocare a porte chiuse. Il basket non è il calcio, i palazzetti vuoti influiscono negativamente sul gioco; molto più grave sarebbe stato il mancato introito di biglietti venduti, imprescindibile per ogni società (specie in A2); uno sport così poco ‘attenzionato’ dalle reti televisive dipende da ogni centesimo incassato, non avendo praticamente sostentamento al di fuori di sponsorizzazioni e, appunto, botteghino.
E adesso? Non mi vergogno di dire che non lo so.
Non so quando si riprenderà: mettendo come condizione i palazzetti non vuoti, magari con capienza ridotta, non vedo come si possa ricominciare prima di sei, otto mesi; quando cioè la cosiddetta ‘fase due’ volgerà al termine.
Non so come si riprenderà; se in Italia si dovesse stare meglio, non è affatto certo che la stessa cosa si potrà dire dei paesi di provenienza dei giocatori stranieri, ad iniziare dagli Stati Uniti. Certo: si potrebbe pensare ad una A1 e A2 con preponderanza di italiani, ma sono tutte ipotesi campate, briosamente, per aria.
Quel che è sicuro è che si riprenderà; lo sport non ha chinato il capo davanti a due conflitti mondiali, non lo farà nemmeno davanti ad una pandemia la quale, se saremo prudenti, terminerà.
Quanto ci manca il basket giocato? Tanto. Come tutte le cose di cui apprezziamo l’importanza solo quando non ci sono. Di una cosa siamo però certi.
Siamo sicuri che Micalich allestirà una grande A.P.U., speriamo basata sul gruppo ‘deciso’ (citazione dovuta) visto quest’anno. Stesso coach, un po’ di sostanza in più sotto canestro e lo stesso talento perimetrale. Tanti giocatori bianconeri valgono palesemente la categoria superiore: speriamo si riesca a convincerli a rimanere.
La decisione FIP è stata la fine di un’agonia. Forse uso un termine esagerato, in un momento dove ogni giorno seicento persone passano a miglior vita a causa del morbo divenuto ormai unico argomento di discussione. Agonia è la lotta per sopravvivere, ma anche un’incertezza che tormenta e tortura. Almeno ora sappiamo che solo il calcio di massima serie (forse di cadetteria) riprenderanno, onde evitare multimilionarie perdite alle società coinvolte.
E noi aspetteremo. Sembra ieri che in Italia si contavano due casi, la coppia cinese di Roma, ed è già passato un mese di clausura. Speriamo solo che esistano ancora piccole certezze: il mediaday a Gemona, le interviste dopo l’allenamento del mercoledì, la domanda al coach che inevitabilmente facciamo arrabbiare.
Aspetteremo il basket.