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Udinese, Thauvin: "Il meglio deve ancora venire"

di Alessio Galetti

Il capitano e numero 10 dell'Udinese, Florian Thauvin, ha rilasciato un'intervista a Sportweek, nella quale ha parlato delle esperienze calcistiche e non che ha vissuto durante tutto l'arco della sua carriera. Qui di seguito l'intervista integrale:

Partiamo dalla ferita aperta, la nazionale: giochi l’ultima partita l’11 giugno 2019,
contro Andorra. Cosa ricordi?

"L’assist a Ben Yedder per il 2-0 e il terzo gol, che segno io in mezza rovesciata su cross di Mbappé. È stato il mio primo gol in nazionale e lo ricorderò sempre anche perché è arrivato in un momento speciale: pochi giorni dopo, in vacanza a Las Vegas con Charlotte, la mia compagna, la prima sera in hotel lei mi fa una sorpresa. Apro la porta della camera e davanti mi trovo, appesi dovunque, palloncini coi nostri nomi e scritte augurali. È stato il suo modo per annunciarmi che era incinta".

Sono passati cinque anni da allora: chi è oggi Florian Thauvin?

"Penso di essere più forte. Più forte perché ho più esperienza e ho imparato un altro modo di giocare, più dentro al campo. Non è stato facile, ero abituato a partire più esterno per accentrarmi solo in un secondo momento, ma adesso mi trovo meglio e mi sento più completo".

Ma preferisci giocare da trequartista puro, dietro a due punte, o ti trovi bene
anche con un solo centravanti a fare da punto di riferimento, come nell’Udinese?

"Davanti, più siamo e meglio è, così ho più opzioni di passaggio".

Tre parole per descriverti come giocatore.

"Dribbling. Fantasia. Gol".

Tre per descriverti come persona.

"Rispettoso. Umile. Lavoratore".

Sei stato descritto come un ragazzino che nascondeva la sua timidezza dietro agli orecchini e ai capelli tagliati strani per mostrarti spavaldo, persino arrogante…

"Mah, arrogante… sono cose che si fanno da ragazzino… però, sì, sono una persona molto timida".

E cosa ci vuole per scioglierti?

"Il rispetto e la fiducia delle persone. Ho bisogno di sentire che chi mi sta intorno crede in me. Nella mia vita ci sono due cose importanti: la mia famiglia e il calcio. Quando la mia famiglia sta bene e nel calcio le cose funzionano, sono una persona differente. Se, invece, non gioco bene o la squadra perde, provo come un senso di vergogna. Mi chiudo in me stesso. Non sono uno che parla molto e, quando le cose girano male, lo faccio ancora meno.
Alla prima vittoria, però, tiro fuori tutto» (espira profondamente)."

Pensi che la tua timidezza alla lunga ti abbia creato problemi?

"Rende più lungo e complicato l’adattamento in una nuova città e in nuovo club. Io ho lasciato Orléans, dove sono nato, quando avevo 13 anni. Sono andato a giocare a Chateauroux. Dormivo con altri ragazzi in una foresteria. Ero solo e non c’era nessuno ad aiutarmi. Ho dovuto imparare a far tutto. Prima di tutto, ho dovuto capire che, se le cose non le facevo io, nessuno le avrebbe fatte per me. Ho imparato a sopravvivere. Mi è servito a diventare uomo in fretta".

Ma possibile che un ragazzino di 13 anni non venisse aiutato?

"La gente ti rispetta se in campo sei forte. Altrimenti ti massacra".

E tu non eri forte abbastanza?

"Forse non abbastanza in quel momento. Ma ho fatto tutto ciò che serviva per diventarlo".

A 15 anni ti viene diagnosticata una frattura da fatica alla schiena.

"Era come se mi si fosse staccato qualcosa qui dietro (si tocca dietro alla spalle). Il dottore mi disse che non avrei più potuto giocare. Piansi molto. Poi decisi di non arrendermi. Vidi un altro medico, un altro e un altro ancora, finché non trovai quello che mi annunciò che avrei potuto continuare, a patto che portassi un busto per 6 mesi ed eseguissi determinati esercizi. Per quel busto i compagni hanno riso di me, perché quando sei giovane non sei intelligente, ma ne sono uscito più forte".

A proposito di timidezza. Nel 2016 giochi nel Marsiglia. Racconterai tempo dopo:

“Al Vélodrome non riuscivo a lasciarmi andare, a essere me stesso. Mi tenevo le emozioni dentro, fino a quando mi hanno mancato di rispetto”. Facevi riferimento alla bottiglietta d’acqua che ti arriva nella schiena nella partita in casa col Rennes, a marzo, con la squadra sotto 3-0. Qualche minuto dopo prendi palla e la infili nel “sette” con un uno spettacolare tiro a giro. Poi ti volti urlando verso il pubblico e prendi a pugni l’aria. Quella era una delle fasi della mia vita in cui ero chiamato a sopravvivere. Alla gente piace parlare, e se può dire male di te è più contenta rispetto a quando è costretta a farti i complimenti. Ma arriva un momento in cui devi dire basta e dimostrare chi sei. Io meritavo rispetto, perché lavoro tanto ogni giorno. Dovevo far vedere che ho carattere, sono forte dentro. Senza un carattere forte non sarei arrivato dove sono".

Dopo quella partita col Rennes, esplodi: in sette stagioni al Marsiglia giochi in totale 281 partite, con 86 gol e 61 assist. Hai detto: “Non so chi ha fatto meglio di me in quella squadra, almeno nel ventunesimo secolo”.

"L’ho detto perché lo penso. E lo penso perché è vero: ho fatto tanti gol e assist. Per me il Marsiglia è il club più bello e grande di Francia, ma giocarci è difficile perché ha intorno tanta passione, una passione che non si vede dovunque. La città “vive” la squadra, vi si identifica fino a diventare
una cosa sola con essa. E, quando c’è tanta passione e non si vince, diventa difficile essere un giocatore dell’OM".

Forse la gente ha preteso troppo da te, proprio perché eri il più forte.

"Forse, ma non posso risponderti io".

Grazie al rendimento nel Marsiglia ti guadagni il Mondiale 2018, vinto proprio dalla Francia. Con quale compagno legasti di più?

"Mbappé, Mandanda, Giroud, Lucas Hernandez... Con Mbappé giocavo a Fifa alla Playstation e a carte. Alla Ps io prendevo il Real, lui non ricordo. Una volta che ho perso, ho tirato un pugno alla porta della camera e ho fatto un buco grosso così".

Prima, però, nel 2015, passi per la Premier, sponda Newcastle. Ci rimani una stagione sola senza brillare. Perché?

"Semplice: perché non volevo andarci. Io non avrei mai lasciato Marsiglia, fu il presidente a venire a da me ad annunciarmi che era costretto a cedermi perché il club aveva bisogno di soldi e gli inglesi offrivano tanto per avermi. Dissi di sì, con la promessa però che sarei tornato. Ero innamorato del Marsiglia e il mio lavoro lì non era finito".

È vero che alla prima partita ti presentasti in smoking?

"Sì".

Ma perché?

"Non lo so, mi andava (ride). Cose che si
fanno da giovani".

Ed è vero che Alan Shearer, il capitano, si arrabbiò?

"Credo di sì, ma non mi importava".

Nel 2021 l’avventura al Marsiglia finisce perché, racconterai, le pressioni erano diventate insostenibili. Decidi di trasferirti in Messico, ai Tigres: perché?

"Dopo otto anni al Marsiglia ero mentalmente stanco. Avevo bisogno di staccare, fare qualcosa di diverso".

Ma non avevi altre offerte, oltre a quella dei messicani?

"Sì: il Marsiglia mi aveva proposto altri cinque anni di contratto, e poi mi aveva chiamato il Lione, avevo parlato con Giuntoli, che era al Napoli, con Maldini, che mi voleva al Milan, la squadra che sarebbe stato, ed è ancora, il mio sogno. Pure l’Atletico Madrid mi voleva. Ma dopo il Covid tutti i club erano in una situazione economica difficile, mentre dal Messico mi era arrivata un’offerta veramente importante. Sentivo anche il bisogno di
stare più vicino alla famiglia, mio figlio Alessio aveva appena 1 anno. Non sapevo che fare e sono andato da una psicologa. Dovevo capire cosa fosse meglio per me: continuare al Marsiglia nonostante il carico di stress che mi portavo dietro, cambiare squadra, cambiare Paese, cambiare
continente addirittura. Al primo incontro ho pianto. È stato, come si dice, liberatorio. Le ho parlato della mia vita, delle difficoltà passate e presenti, e lei mi ha detto: “Tu hai attraversato la depressione”.

Come hai reagito a questa rivelazione?

"Ho pensato: non è normale perché vivo la vita più bella del mondo, quella del calciatore. Quella che volevo. Se sono arrivato a stare male è arrivato il momento di cambiare, prendermi cura di me e stare più vicino a chi mi vuole bene davvero, la mia donna e mio figlio".

E come ne sei uscito?

"Stando di più a casa e partendo per il Messico alla ricerca di un’esistenza più tranquilla. Ma è stato l’errore più grande della mia vita: sono un atleta di grande livello, il ritmo della mia giornata è dettato dal calcio, e il livello del calcio messicano non mi dava la possibilità di mantenere
certi standard. Per questo ho detto subito sì all’Udinese. All’inizio è stato difficile perché non sentivo la fiducia dell’allenatore, ma ho lavorato tanto per dimostrare che sono un giocatore forte e che nel calcio c’è futuro per me".

Un futuro ancora in un grande club?

"A giugno scade il mio contratto con l’Udinese. Qui sto bene, davvero, ma ho sempre detto che un giocatore di alto livello ambisce a giocare al livello più alto. Non so come andrà, ma di sicuro io mi sento un giocatore da top club".

Dell’Udinese sei capitano: ma senti di essere anche il leader del gruppo?

"La fascia di capitano è per me un’esperienza nuova. Mi piace la relazione coi compagni. Prima di ogni partita parlo alla squadra, però preferisco i colloqui “uomo a uomo”.

È stato scritto: Thauvin è uno che non si è mai davvero sentito a casa, dovunque sia stato. A Udine avverti finalmente la sensazione di aver trovato il tuo posto?

"Mi sono sentito a casa nel Marsiglia, nonostante tutto. E, sì, mi sento a casa a Udine, dove mi è stata assegnata una responsabilità importante in campo e nel rappresentare il club e dove sento la fiducia di presidente, compagni e allenatore. Runjaic è un tecnico che rispetta tutti i suoi giocatori, lavora molto e conosce a fondo il calcio. Ci siamo confrontati nel suo ufficio molte volte: ha passione".

Com’è, questo calcio italiano?

"Tattico e difensivo. Per un giocatore offensivo come me è più difficile. Ma proprio per questo penso di essere più forte di prima, perché il calcio italiano ti fa crescere. E poi in Serie A ci sono tante buone squadre, non solo due o tre come in Spagna o Germania. Dopo la Premier ci siete voi".

Su Instagram ti si vede con Charlotte e Alessio, ma il bambino è sempre fotografato di spalle. Molti personaggi famosi espongono i figli come trofei, tu no.

"Perché rispetto la sua privacy e il suo diritto esclusivo di decidere, quando sarà adulto, se mostrarsi sui social oppure no".

Florian, dicono che tutta la tua carriera è stata una ricerca di una pace dentro di te che non hai mai trovato: oggi ci sei riuscito?

"Non lo so. So che voglio essere il più forte possibile. Non sono ancora al mio massimo, ma sono sicuro che verrà. Ho sempre bisogno di un po’ di tempo per fare le cose, però alla fine arrivo dove volevo".


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