Toni-Di Natale: il meglio dell'Italia sono ancora loro
La classe non ha età, si dice. Di sicuro non ce l’ha il gol. Luca Toni e Antonio Di Natale: classe 1977 entrambi, vice-capocannoniere del campionato il primo; sesto miglior marcatore di sempre della Serie A il secondo, come e forse presto meglio di Roberto Baggio. Alle porte dei 40 anni, quasi che il tempo non fosse mai trascorso. Vivendo alla giornata, perché “di doman non c’è certezza”: Toni ancora non sa con quale magliagiocherà il prossimo anno, Di Natale a giugno potrebbe lasciare l’Italia per tentare fortuna in America. Intanto il presente continua ad essere vissuto nel segno del gol. Un po’ come tutta la loro carriera.
Ancor più del vizietto del gol, ad accomunarli per davvero probabilmente è la profonda serietà calcistica: la vera impresa è essere ancora atleti e campioni ad un passo dagli “anta”. Merito del talento, certo. Anche e soprattutto della cultura del lavoro, della capacità di continuare a curare fisico e mente, senza attimi di cedimento. Solo così si spiega la seconda giovinezza di Toni: 18 reti segnate in campionato, con appena 3 rigori. Come Maurito Icardi, giovane stella del gol che quasi potrebbe essere suo figlio (i due si passano 16 anni di differenza). Alle spalle solo di Carlos Tevez, unanimemente considerato il giocatore più decisivo del torneo. Non è da meno Luca da Pavullo nel Frignano, che dopo aver vinto tutto negli anni migliori (una Bundesliga col Bayern Monaco, la scarpa d’oro nel 2006, i Mondiali con la maglia dell’Italia) è rinato in provincia. A Verona, per la precisione, sponda Hellas, che ha avuto il coraggio di credere in lui quando la sua parabola sembrava ormai discendente. Adesso i gol in Serie A sono 147 (a cui vanno sommati i 38 in Bundesliga); più di 250 in tutti i campionati professionistici.
Dopo la conclusione dell’avventura col Bayern, l’esperienza in chiaroscuro con la Roma, il flop alla Juventus e il ritiro dorato ma infelice a Dubai, Toni ha ritrovato la gioia di giocare. E di segnare. Rialzandosi anche dopo il grave lutto della morte del figlio, che aveva stravolto la sua vita, non solo la carriera. Sulle sue larghe spalle il Verona si è appoggiato per centrare la salvezza: 38 gol fra 2014 e 2015, gli sono bastate due stagioni per diventare il marcatore più prolifico della storia degli scaligeri. E contro la Sampdoria ieri è arrivata l’ennesima rete di questo campionato, non l’ultima probabilmente.
Ma quella appena conclusa è stata soprattutto la giornata di Totò Di Natale. Lo avevamo già celebrato a novembre, quando aveva toccato quota 200 gol in Serie A. Un traguardo riservato a pochissimi eletti: Silvio Piola, Francesco Totti, Gunnar Nordahl, Giuseppe Meazza, Josè Altafini. E Roberto Baggio, eguagliato martedì sera, nonostante la sconfitta della sua Udinese e una stagione che non è stata propriamente all’altezza delle ultime (“solo” 12 gol in 30 presenze). Qualcuno sul web si è anche scandalizzato per cotanto paragone. Certo non il diretto interessato, che si è anche personalmente complimentato per il primato eguagliato con un sms. “Grande, grande, grande. Un abbraccio, Roberto”. Un messaggio per cui anche un campione da oltre 200 gol in Serie A si sarà emozionato.
Perché il talento del Codino era qualcosa di divino, nella parabola di Totò da Napoli c’è molta più umiltà e lavoro. Tanta provincia, solo provincia, dall’Empoli all’Udinese, quasi schivando i grandi palcoscenici che l’hanno forse sottovalutato. Se Baggio è uno dei pochi ad aver vestito tutte le maglie delle grandi d’Italia (Juventus, Milan e Inter), Di Natale la grande occasione della carriera l’ha gentilmente declinata, rifiutando a tarda età la Juve. Ha preferito restare nella tranquillità della sua Udine, luogo ideale per un campione discreto. Adesso, però, potrebbe essere giunto il momento di cambiare aria. Il contratto di entrambi è in scadenza a giugno. Tutti vorrebbero che fossero eterni. Tanti li sognano, in Italia (dove potrebbe continuare Luca) e all’estero (dove dovrebbe finire Totò). Gli allenatori li gestiscono, loro continuano a segnare. La Serie A se li gode finché può. Presto ci mancheranno.