Serie A, il posticipo: derby di Milano, Obi riprende Menez, ma Milan-Inter è poca cosa
Guardi Obi e dici “Obi nel derby? Dov’è finito Matthäus?". Vedi Menez e pensi "Beh, Van Basten era un’altra cosa". La nostalgia dei bei tempi andati è una brutta bestia. Ma stasera è anche cattiva consigliera: perché Menez e Obi firmano il derby di Milano. C’è chi ci leggerà il segno del decadimento, ma tant’è. Uno a uno, classifiche che restano quello che sono, ma né Inzaghi né Mancini dovranno gestire i postumi di un k.o. cittadino. Inter e Milan fanno pari anche nei rimpianti: una occasione enorme a testa, soli davanti al portiere. Che le sbaglino Icardi (all’alba del match, poi bisserà con una traversa a 10’ dalla fine) ed El Shaarawy (al 75’), ossia due indicati come “progetti di campione” per il futuro, può essere un segno nefasto, ma non vogliamo coglierlo. Una decina di anni fa il derby era una semifinale di Champions, oggi come oggi vale l’inseguimento all’Europa League. La differenza c’è e si vede, inutile nasconderselo. Ma se il contenuto ha perso valore, il contenitore ha lo stesso fascino: stadio pieno, atmosfera, annessi e connessi. Fra le cose all’altezza della storia del derby inseriamo anche il gol di Menez: è il 23’, il Milan non ha mai tirato in porta. Ma la ricetta "ripartenze immediate" funziona in modo chirurgico: El Shaarawy va sulla sinistra, crossa, e il francese si inventa un piatto destro al volo da vedere e rivedere, se non siete Handanovic. Il pareggio di Obi (16' della ripresa) è esteticamente inferiore, ma conta uguale: cross, rinvio corto di Zapata, dormita di Essien, rasoterra vincente. Festa con capriola. Fin qui i gol: poi una traversa per parte (ElSha e Icardi), due occasioni vere per parte (sempre loro), un ultimo brivido su tiro deviato di Bonaventura nel recupero (94’) un po’ di errori (Muntari vince per distacco), una grande parata (Diego Lopez), un ritmo tutto sommato accettabile, forse superiore alla media delle nostre gare (tanto che in due finiscono con i ritmi). Inzaghi imposta la gara con una squadra corta e pronta a ripartire immediatamente. Lui era rapace d’area, questo Milan gli assomiglia, se non fosse per le occasioni mancate (e la smorfia di disappunto di Pippo sul gol sbagliato da El Shaarawy la dice lunga...). La temuta difesa emergenziale va meglio del previsto, l’atteso risveglio di Torres è rimandato (non la vede mai), il gioco non è certo spumeggiante, ma in velocità può far male. Alla fine, forse va più vicino ai tre punti del più collaudato Mancio.
Il primo vestito di Mancini per l’Inter (quello che veste lui è un inusuale completo grigio chiaro) è un inatteso 4-3-3. L’atteso Kovacic non parte da trequartista, ma spostato a sinistra. L’idea, probabilmente, è di mettere in crisi il terzino “adattato” Rami, ma il francese non solo copre, ma scende anche sulla sua fascia come se non avesse mai fatto altro in vita sua. A Kova e Palacio il Mancio chiede anche di ripiegare: l’effetto è che il Trenza non si vede mai dalle parti di Diego Lopez. Il centrocampo Obi-Kuzmanovic-Guarin ha poca qualità (fatta forse eccezione per il colombiano): si nota e qui il tecnico può farci poco. Di più potranno infermeria e mercato. Le preoccupazioni maggiori, fossimo in lui, le avremmo per le transizioni difensive: quando il Milan parte in contropiede, i suoi tornano indietro in una ritirata disordinata e caotica. Una Caporetto che non provoca vittime solo per caso. Avrà da lavorare. Ma questo lo sapeva bene, tornando ad Appiano...