Oddo story: gli inizi, Napoli e Verona
Lunga intervista rilasciata da mister Massimo Oddo ai microfoni di Udinese TV. Il tecnico ha parlato di tutta quella che è stata la sua vita calcistica, partendo dai suoi primi passi come calciatore.
Il calcio in famiglia era una presenza costante, con il padre e il fratello nell'ambiente: “Si viveva di calcio, sono nato in questo ambiente, mio papà giocava a calcio non ad altissimi livelli e poi ha fatto la gavetta da allenatore. Io con mia madre lo seguivo per i vari campi dell’Abruzzo. Quando ho iniziato il ruolo non era definito, importava correre, ho inizato giovanissimo, a cinque anni, un anno prima del consentito. Mio fratello che ne aveva sei era nel campionato pulcini e io un po’ ne soffrivo. La passione la determina anche quanto la famiglia ti avvicina a quelle che sono le proprie passioni”
Cresciuto nel Renato Curi, uno dei settori giovanili all'epoca migliori, poi la chiamata di Lucchese e Milan: “Io ho vinto tre scudetti dilettanti con il settore giovanile del Renato Curi, uno dei migliori all’epoca, sin da piccolo sono stato abituato a vincere. Sono cresciuto in un ambiente sano che mi ha fatto crescere anche come uomo. A 16 anni e mezzo ho fatto un provino alla Luchesse, poi sulla via del ritorno mi chiamò il Milan e, come tutti i bambini, quando mi hanno chiamato da Milano sono voluto andare là. Ad agosto mi sono trasferito a Milanello, lì ho vinto il campionato Beretti e il secondo anno ho fatto la Primavera”.
Un'infanzia calcistica vissuta con i campioni del Milan e con un'esperienza giovanile che lo ha fatto maturare molto, cosa che si è andata un po' perdendo con gli anni: “Gli “stranieri” del Milan, ovvero chi veniva da altri regioni, viveva a Milanello, una vita in cui incrociavi quotidianamente i tuoi idoli, sia in campo che fuori. Quando ti aggregavi agli allenamenti della Prima squadra, nei ritiri prepartita, anche quello è stato un momento di crescita. Io credo che la Primavera sia la squadra più vicina alla prima squadra, quindi l'allenatore deve capire subito chi può stare vicino alla prima squadra, chi è adatto ad allenarsi con i più grandi. Talvolta è bello anche fare entrare chi ha 14/15 anni nell’ambiente, per farlo crescere. All’inizio era un’emozione allenarsi con i campioni, poi un trauma (ride ndr). Gli squalificati e gli infortunati, che non partivano per giocare, si allenavano anche la domenica mattina e spesso venivamo chiamati per integrare il numero di giocatori per la sessione. Chi ci chiamava non sapeva il nostro nome, telefonavano: “Chi sei?” “Oddo” “Scendi al campo”. Visto che era il nostro giorno libero, ogni tanto, quando non avevo troppa voglia, facevo il nome di qualcun altro, così poi gli andavo a dire che doveva scendere ad allenarsi, alla fine è diventata anche una cosa scherzosa. Sono ricordi indelebili di un’infanzia calcistica vissuta insieme ai campioni”.
Una carriera iniziata con qualche difficoltà, poi la congiuntura fortunata è arrivata al Monza: “Nella vita dei calciatori ci sono momenti in cui esplodi o ti demoliscono. Me non mi hanno mai demolito, ma erano altri tempi, c’era un livello altissimo, i giocatori della Primavera andavano in C a fare esperienza, in B era impossibile. Ti confrontavi con professionisti, incontravi tante difficoltà, perché per i giovani c’era poco spazio, visto il livello. I primi anni mi furono utili per crescere umanamente, ma giocai poco. L’anno dell’esplosione fu a Monza. Era un po’ la squadra satellite del Milan, volli andare lì personalmente nonostante non avessi sulla carta chance di giocare, ero l’ultima ruota del carro, uomo di tribuna. La mia avventura iniziò con una serie di infortunii e squalifiche. La mia prima partita la giocai perché c’erano tanti infortunati e rimasi tra i pochi disponibili. Vincemmo 1-0 e da lì partii la mia carriera”
Poi il grande salto al Napoli in B, dove si mise in mostra e si guadagnò una chiamata in Serie A con l'Hellas Verona, anche se al secondo anno arrivò la retrocessione: “A Napoli giocai in una società gloriosa ed ambiziosa, che voleva salire dalla B alla A. Fu l’anno della consacrazione, perché a Monza feci tutti i ruoli, invece lì trovai Novellino e diventai terzino destro in pianta stabile. Non ci fu la riconferma per vicissitudini societarie, ero in prestito dal Milan e arrivò un’offertona da parte del Verona in Serie A, il Napoli non potè pareggiarla e quindi andai là a titolo definitivo. Tutti gli anni per me sono stati importanti, anche quelli sfortunati, perché mi hanno fatto imparare tanto. Verona è stata importante perché è stata la mia prima squadra in Serie A, anche se poi il biennio non andò bene a livello di risultati, nella seconda stagione siamo retrocessi. Fu una delle retrocessioni più assurde della Serie A, avevamo gente di spessore, il tridente era composto da Mutu, Gilardino e Camoranesi, molto giovani, ma giocatori di sicura prospettiva, ma facemmo un girone di ritorno pessimo. Non so eravamo giovani, forse ci pensavamo già salvi”.