Lacrime di gioia
Un paio di cose.
Volevo tornare su quanto ho scritto, e di cui mi prendo ogni responsabilità, a proposito del possibile passaggio di proprietà della Biancanera. Sì: la chiamo così, perché non potrei mai, e sottolineo mai, accettare un cambio di colori. Per quello che so, e ho letto, questa non è eventualità contemplata (sarebbe una sciocchezza megagalattica della società salisburghese); ma ove così fosse, ricorderò per primo a me stesso che iniziai a seguire il bianco ed il nero quando al Moretti scendeva il Marzotto Valdagno, e poi continuativamente contro Seregno, Trento, JuniorCasale, Sant’Angelo Lodigiano, Audace di San Michele Extra. Per cui vadano in Champions i biancorossi di Udine: io sarei primo firmatario per la fondazione di un’Udinese da quarta serie, che giochi pure altrove dal Dacia Bunker, ma conservando le strisce longitudinali alternate biacca e carbone.
Ha ragione in parte chi mi rimprovera di credere, sono pirla ma non così tanto!, che Matesic venga a Udine per amore dei sostenitori; ha ragione nel senso che ciò, nel calcio in cui si gioca ad ora di Messa cantata o peggio alle sei del primo giorno lavorativo della settimana, non lo fa nessuno. Ma a questi, in particolare ad alcuni fra loro, chiedo come mai abbiano contestato me (fatto bene!), i giocatori, la lega, il calcio-business e mai una certa parte della vicenda; quella che, glielo dico in confidenza, determina le cose qui da noi. Piccoli spunti di riflessione, magari mi convinco di sbagliare anche qui:
Di chi è la responsabilità del decadimento qualitativo delle ultime tre stagioni?
Chi ha condotto i bianconeri a giocarsi dei preliminari di Champions con gente come Neuton ed Ekstrand, simpatici ma non certo trascendentali pedatori? No: non vale dire “almeno ci siamo arrivati”, è come sedersi ad un tavolo sulla Croisette assieme alla più bella del reame, ordinare le meglio cose poi alzarsi ed andarsene prima che arrivi anche solo il “saluto della cucina”.
Chi ha trasformato l’Udinese in incubatrice per squadre estere controllate dalla medesima compàgine, e se la cessione dei migliori giocatori era una necessità di bilancio (ci sta), com’è che oggi ci troviamo nelle condizioni di non poter investire nel potenziamento della squadra, ma si cercando affari stile Harbaoui, una pippa imperiale, onde ottenere delle plusvalenze che pochi anni fa sarebbero risultate irrisorie? O forse non si vuole investire...
E qui torno a bomba: non è causa di chi vuole acquistare se chi c’è palesemente, per ragioni proprie ed assolutamente personali, vuole alienare la Biancanera (d’ora in poi la chiamerò così). Nessuno è obbligato a potenziare la propria azienda, specie se se ne vuole disfare (eccezion fatta per Berlusconi, quando l’anno passato parse aver perso di vista il faro della lucidità); io insisto dicendo che spero che i bianchineri finiscano nelle mani di un imprenditore friulano, coevo del Pozzo più maturo, con cui almeno ci divertiremmo; noi, magari Iachini un po’ meno. Speranze? Voci? Mah.
Ed a chi mi ha contestato: casualmente coloro i quali ho difeso strenuamente negli ultimi anni, dagli attacchi di gente irriconoscente come il signor Spalletti, di commentatori che ne dipingono le gesta sulla scorta di pochi riflessi filmati, soprattutto dalle vergognose prestazioni della squadra, cento e più gare, che ne hanno frustrato cori, inni, canti; a questi chiedo scusa. Scusa se ho dato l’impressione di esterofilia. Scusa se scrivo male, se scrivo sciocchezze, se non si comprende ciò che dico. Se la nuova proprietà, ce ne fosse mai una, si mostrasse offensiva verso di loro essi vedrebbero in me una specie di scudo umano. Peccato, dico con rammarico, leggerne i commenti solo se ispirati da un certo vessillifero sentimento del pensiero negativo. Ovviamente ciò non riguarda la parte del sistema di cui sopra. Lì si tace e si acconsente. Stiamo uniti, fratelli amici miei bianchi e neri: siamo tanti, siamo pochi, siamo una cosa sola. Una cosa sola.
Il mercato: finita la conta delle vacche. Avrei gradito veder partire tre, quattro giocatori che secondo me non sono funzionali alla squadra che Gioacchino da Ascoli sta cercando di plasmare. Pazienza: Kums (solo otto mesi a Udine? Assieme al prestito di Peñaranda è testimonianza della strategia dei suddetti) è buono come il pane, finalmente un regista fatto, finito nel senso della maturità e non della senescenza. La squadra, secondo me, non è così male come la dipingono: ma Gioacchino deve continuare ad alimentare il proprio coraggio, deve osare e mai cedere alle lusinghe di quel potere che gli soffia numerini nell’orecchio. Mi sorprende la maturità dell’idolo islandese, che verrà buono ancora in corso di campionato; mi ha deluso Evangelista, ancora lento ed involuto; eccellente Rodrigo, gran voglia Perica, Zapàta (son buono) ingiudicabile, così come un Danìlo ancora dimesso e affetto da una certa dose di saudade per una grandezza che pensava di raggiungere ma, a trentatre anni, pare ormai illusoria. Samir non ha sfigurato, Oreste ha parato e quando il fisico funzionerà per novanta minuti vorrò vedere come la Biancanera risponderà agli avversari. Perché dobbiamo ammettere che domenica sera la sofferenza contro una squadra palesemente inferiore come l’Empoli, nella seconda metà del primo tempo, è stata quantomeno indigesta.
Un piccolo sospiro per il guru del calciomercato, dipendente di un giornale dal colore femminino, che al mercato dell’Udinese ha dato un cinque tondo tondo. Mi pare un pochino eccessivo. Magari gli vien meglio di giudicare Inter e Juventus. Io dieci lo darei a Cairo, che ha fatto una bella squadra capitalizzando trenta milioni di plusvalenze. Vende Maksimovic e Peres, prende Valdifiori e Liajic. Non è proprio come vendere Sànchez e prendere Torje. Pazienza, bravi loro e testa bassa a Udine.
Sarà comunque fatica; sarà sudore, perché in ogni caso si deve ripartire da un recente passato devastante. Saranno lacrime: di gioia o di dolore? Dieci gare per capirlo.