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Cioffi: "Il mio obiettivo è dare gioia a chi ci guarda. So da dove vengo e non ci voglio tornare"

di Jessy Specogna

Gabriele Cioffi ha rilasciato una lunga intervista ai microfoni del Corriere dello Sport.

«Noi proviamo sempre a vincere. Vincere mi piace. Mi piace leggere, ma non troppo a lungo. Mi piace ascoltare la musica, ma non poi tanto. Amo vincere perché è difficile. Anche a Firenze, abbiamo giocato bene sia noi sia loro. La Fiorentina poteva segnare e invece ha segnato l’Udinese. Eravamo più liberi di testa, più pronti. Il calcio è semplice».

«Esistono allenatori che plasmano la squadra a propria immagine e somiglianza. Saranno tre in tutto il mondo. Gli altri devono leggere il materiale umano della rosa e trovare il modo migliore di utilizzarlo. Su queste basi si può sperimentare, come no. E mettere in conto che, qualsiasi approccio si scelga, c’è sempre l’errore in agguato».

«Tentiamo di attirare la squadra avversaria, per poi andare in profondità a cercare lo spazio. Questo sul piano tattico. Se parliamo di principi, io ai miei chiedo soprattutto una cosa: che chi ci guarda gioisca. Mi piace un calcio propositivo, aggressivo, guidato da una logica che è la mia. Si va in campo non solo per gli obiettivi, ma soprattutto per lasciare il segno. Voglio che in campo si sputi il sangue e che al momento di uscire nessuno di quelli che hanno pagato per vedere la partita ti possa dire niente. I risultati vengono di conseguenza».

«So da dove vengo e non ci voglio tornare. A ventitré anni mi ero già fatto tre crociati. Ero senza contratto in Serie C e mi raccontavano che non sarei mai tornato a giocare. Mia madre mi diceva: studia. Mio padre voleva vedermi in ditta insieme con lui. Contro tutti i pronostici sono rimasto diciassette anni tra i professionisti. A trentuno anni ero in Serie A. Dopo che mi era saltato il legamento di una caviglia, beninteso. Zaccheroni mi fa esordire e dopo un quarto d’ora ho uno zigomo rotto. Invece di uscire gioco novanta minuti. Quando ho rivisto Zaccheroni mi ha ricordato quell’episodio e mi ha detto: lavora, insisti che ce la fai. È una delle due frasi che stanno lì a farmi da luce guida. L’altra è di Guidolin: se alleni l’Udinese, in un mese la fai diventare la tua squadra».


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