I periti del Gip: "L'uso del defibrillatore avrebbe potuto salvare Morosini"
Adesso c'è anche l'ufficialità dei periti. Quando Piermario Morosini si è accasciato la suolo durante quella maledetta Pescara-Livorno del 14 aprile scorso, non fu usato il defibrillatore, uno strumento che forse avrebbe permesso di salvare la vita all'ex centrocampista dell'Udinese. Per la vicenda sono indagati il medico sociale del Livorno, Manlio Porcellini, il suo collega del Pescara, Ernesto Sabatini, il medico del 118 in servizio allo stadio, Vito Molfese, e il cardiologo Leonardo Paloscia, direttore dell'Unità Coronarica e Cardiologia. Piermario morì per una cardiomiopatia aritmogena e il decesso "è inquadrabile come una morte improvvisa cardiaca aritmica, secondaria alla cardiomiopatia aritmogena da cui era affetto, precipitata dallo sforzo fisico intenso". Nella perizia si parla poi di "incongrua, caotica assistenza sanitaria. Tutti i membri della equipe medica hanno omesso di impiegare il defibrillatore semi-automatico esterno". Eppure l'attrezzo era in campo, a un passo dal corpo del ragazzo, eppure i medici non lo usarono nonostante siano chiamati "a detenere nel proprio patrimonio di conoscenza professionale, il valore insostituibile del defibrillatore semi-automatico nella diagnosi del ritmo sottostante e, in caso di fibrillazione ventricolare, il valore cruciale nell'influenzare le chance di sopravvivenza della vittima di collasso".