Venezia, Barreto:" Non potevo smettere così. Qui mi sento a casa".
Fonte: Gianlucadimarzio.com
Gianluca Di Marzio ha intervistato l'ex attaccante di Udinese e Bari Barreto. Si tratta di un'intervista a 360 gradi in cui Barreto parla del presente ma anche delle vicende passate che hanno caratterizzato la sua carriera. Di seguito riportiamo l'intervista di Di Marzio.
"Stavo per smettere: troppi infortuni, mille rimpianti".
Ma a 30 anni, no. L'amore per il calcio non può svanire così. "Due mesi a casa, l'idea di lasciare all'improvviso. Poi il Venezia..."
E Barreto ha deciso di togliere quel chiodo dove stava per attaccare le sue scarpine brasiliane. "Quando ero un ragazzino, ricordo che mi venne a vedere tuo papà. Con Pedrinho, insieme a tanti ragazzi che sognavano l'Italia. Io gracilino, che quasi per abitudine mi muovevo come avessi la gobba. E lui mi rimproverò malamente!".
Cioè? Riavvolgi il nastro Vitor. "Cammina dritto, mi urlò. O non diventerai mai un giocatore. E ancora sento quelle parole nella mia testa".
Dritto, per la sua strada. A costo di lasciare la serie A per fare un salto triplo carpiato. In Laguna. "Me lo chiedono anche gli avversari: perché in D? Lo spiego a te. A tutti. Così magari non mi guarderanno più come un extraterrestre. È stata una scelta di vita. La mia famiglia è a Udine, sono vicino. È come se fossi tornato a casa. Non mi interessava la categoria. Potevo andare a Latina con Leonardi, tornare a Bari quando mi chiamò Antonelli a inizio mercato, oppure scegliere i soldi degli Emirati, magari accettare la corte di Materazzi che mi voleva in India con Elano".
E invece no, Perinetti chiama e Barreto risponde. "Il direttore mi conosce dai tempi del San Nicola. È stato fondamentale nella mia scelta. Mi ha prospettato un progetto importante, possiamo vincere subito il campionato e poi chissà".
Intanto, i dilettanti. Non allo sbaraglio. Anzi. "Corrono tutti come treni, è tutto così strano. Devo ancora abituarmi a questi ritmi!".
Ride, scherza. È un altro. È tornato. L'avevamo lasciato triste a Torino. "Sono stato fermo quasi tre anni, dal 2010 un guaio dopo l'altro. Poi, quando stavo bene, mi è stato detto che avrei giocato. Promesse non mantenute".
Dall'allenatore? "Ventura, sì. Io volevo andare via e lui mi chiedeva di restare. Perché avrei giocato. E invece non ho mai visto il campo. Per carità, se mi sono perso è anche colpa mia. Ma nell'ultimo periodo granata aspettavo solo un'occasione. O il via libera per andarmene".
Diciamo la verità, Barretinho. Dopo tutti quegli infortuni, non potevi e forse non puoi essere più quello di una volta, no? "I miei problemi sono stati gravi, tutto vero. Ripenso a quegli interminabili viaggi, Udine, Barcellona, la terapia basata sul fattore della crescita, l'incredibile fatica a recuperare. Mi sono strappato davanti, dietro, dovunque..."
E adesso? "Adesso mi alleno col gruppo ma quando faccio troppa fatica, devo fermarmi. Fare magari qualche lavoro pesante in meno. Perché alcuni muscoli non ci sono praticamente più".
E qui la voce si fa triste, saudade di quel Barreto che saltava gli avversari come ballasse il samba, gol e difensori impazziti per fermarlo. "Ma se non ho smesso, è proprio perché vorrei ancora riprovare quelle emozioni. Anche se in campi poco conosciuti, contro avversari che mi guardano con curiosità. Sempre a testa alta". E con la schiena dritta. Obrigado, Vitor.