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Udinese-Napoli: un quarto d’ora da tre punti

di Franco Canciani

Udinese-Napoli: Un quarto d’ora da tre punti

Certe cose capitano: perdere in casa contro una squadra sulla carta più forte (ma in campo superiore solo per una decina di minuti) non è scandalo. Specie se appunto tutto si decide su un paio di errori, alla fine decisivi, all’inizio di una ripresa affrontata con la testa lasciata accanto al thé nello spogliatoio.

Saper vincere, però, e lo sosteneva anche l’Avvocato, non è patrimonio di tutti. Non di certo di qualche collega napoletano che in tribuna stampa ha vissuto la gara, diciamo così, con poco oxfordiano distacco lasciandosi andare, alla fine a canti, balli, invettive contro gli ospitanti. Ci sta: anche se a campi invertiti non mi sarebbe stato permesso tutto ciò accetto con più di un sorriso. Quello che invece mi fa schifo, e lo dico chiaro, è che ad un collega friulano, onusto d’anni, esperienze e dalle mille gare viste e commentate, rèo solamente di averli invitati con le mani ed un sorriso ad un certo contegno quantomeno deontologico, siano stati riservati gesti e sfottò degni della peggiore ribalta d’un avanspettacolo di sest’ordine. Per questo, e solo per questo, si dovrebbero vergognare.

Okay: dimenticati i fratelli DeRege, di fronte alla statura dei quali mi sento Gianni Brera, passiamo ad una gara persa non del tutto meritatamente. Non del tutto, perché nel primo tempo il Napoli, imbrigliato dal pressing e dai cambi tattici di Delneri quasi non vede la metà campo friulana. Zapàta ha sulle spalle la responsabilità di una rete fallita in maniera grossolana, che avrebbe spostato gli equilibri in campo. E in attesa del rientro delle squadre, pensavo che in fondo ad allenatori invertiti il prodotto sarebbe cambiato forse per il Napoli (in meglio): Sarri, che mi piace così come la squadra che dirige, è flessibile come una putrella d’acciaio e non cambia mai il suo quadro tecnico, soprattutto il suo credo tattico basato sull’attacco frontale sempre e comunque (oggi invero nella ripresa, di fronte ad un’avversaria con la lingua penzoloni, ha gestito la sfera) che ha portato, ad esempio, alle recenti sconfitte contro Juventus e soprattutto Besiktas. Ed oggi esultano i tifosi azzurri, ma in classifica hanno tanti punti in più dell’Udinese quanti di ritardo dalla capolista rosastellata. Il loro campionato è in salita e servirà il talento di Callejòn, di Mertens, d’un ritrovato Insigne per sopravanzare Milan e Roma, forse il rientro in gioco dei nerazzurri di Pioli, per riqualificarsi in Champions; una coppa nella quale, per inciso, oggi come oggi non sono attrezzati per diventarne una top-8.

Luigi Delneri, Aquileiense senza paura, ha obiettivamente compiuto un altro passo avanti: si sa benissimo che la difesa, così com’è attrezzata, non dà garanzie ed anche oggi, specie (ovviamente) sugli esterni ha avuto le proprie gatte da pelare. Ha ragione però, il Gigi: non tutte le squadre hanno davanti la qualità del Napoli. In mezzo Danilo e Wague hanno tenuto bene un tempo, poi nella ripresa non sono sembrati più così compatti. Davanti a loro non il miglior Badu della storia, un Fofana arrembante e rampante ma soprattutto un Kums che, fino all’uscita, in una posizione più vicina al portiere avversario che al proprio ha finalmente tappato la bocca ai tanti detrattori. Ovvio che con questo schema, incluso un esterno doppia-fase come il miglior Ryder Matos visto in Italia (bastava un allenatore bravo per capirne le caratteristiche? Evidentemente sì), il sacrificato sia l’oggetto sinora misterioso Rodrigo De Paul, ieri subentrato in una formazione imbolsita dalla fatica e irretita da un giro-palla napoletano connotante padronanza di palleggio, sì, ma anche tanta paura di subìre il pari.

Sì: perché l’italianissimo repertorio di giocatori esanimi, di perdite di tempo sulle rimesse ed i rinvii (ho cronometrato Reyna impiegare 43’’ per calciare la palla dal fondo), di solito aliene al calcio spumeggiante dei napoletani, testimoniano di una gara per nulla messa in ghiaccio, nonostante di occasioni vere l’Udinese, nell’ultima mezz’ora, non ne abbia create.

Mi ha lasciato perplesso Duvàn Zapàta: si è “sbattuto”, ha lottato contro uno dei migliori difensori del campionato (forse il migliore, Koulibaly), che lo ha sovrastato fisicamente e non succede spesso; non si è perso d’animo, ha fatto respirare la propria difesa quando, raramente, nel primo tempo questa è andata in leggero affanno. Ma...

Ma in porta ci va quasi mai: l’occasione nella quale, di fronte a Pepe Reyna, ne ha centrato la caviglia a pochi passi dal cotone avrebbe girato la gara; in altre due occasioni ha calato la visiera anziché appoggiare a Cyril Théréau meglio posizionato; nella ripresa, per la prima volta, le sportellate lo hanno sfinito ed è uscito anzitempo, fra gli applausi bianconeri e azzurri (di sollievo?). Meglio Perica: per venti minuti fa il solito “diavolo a quattro” sul quale la difesa partenopea capisce il giusto. Sua la rete che rimette tutto in discussione, suoi diversi recuperi in difesa; credo, come Matos (di cui ha parlato Delneri) possa diventare più decisivo quando (se) disciplinerà il dispendio energetico.

Ora il rush prenatalizio: Cagliari, Bologna a Udine coi festeggiamenti per il 120. compleanno; Atalanta; Crotone al Friuli, poi Samp-e-Doria a Genova il 22 dicembre. Il girone si chiude l’8 di gennaio sotto l’arco ospitando l’Internazionale di Milano. Sei gare da chiudere il più possibile vicino ai 25 punti, che sarebbero la mia quota ideale. Con questo spirito, questo gruppo e questo mister dico che sì, si può: un mese e mezzo fa, dopo aver concesso la ribalta alla Lazio l’Udinese appariva spacciata, senza idee né carattere. Oggi siamo qui a discutere come si poteva evitare di perdere contro quella che nominalmente è la seconda-terza forza del campionato. Delneri deve continuare a lavorare, Bonato a gennaio rivedere il portafoglio-giocatori perché alcune lacune stanno diventando l’obiettivo preferito degli avversari. Per la prima volta dopo anni, sono certo che accadrà. Certo come il nodo allo stomaco quando leggo, sulla parte superiore del tagliando d’ingresso, il nome dell’impianto. Certe cose capitano, ma non è detto che ci debbano per forza piacere.

 


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