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Ripartire o non ripartire? E soprattuto come

di Redazione TuttoUdinese

Ripartire o non ripartire? Come fosse una partita, anche in questa circostanza l'Italia pallonara s'è divisa in due fazioni. Da un lato una buona maggioranza di tifosi che di rivedere i calciatori in campo proprio non ne vogliono sentir parlare. "Chiudiamo tutto, se ne riparla a settembre". Il messaggio grossomodo è questo, noncuranti delle conseguenze perché per i tifosi il calcio è passione e non c'è alcuna voglia, nel bel mezzo della pandemia, di vedere le proprie squadre affrontarsi in stadi vuoti solo perché devono, per logiche economiche ma anche giudiziarie.
Poi c'è l'altra fazione, quella de 'Il calcio è una delle industrie più importanti del paese, deve riprendere come le altre'. E giù di cifre e numeri, per dimostrare che il gettito fiscale derivante dalla Serie A è una risorsa primaria anche per il Governo. Chi difende questa posizione ci spiega, nei modi più diversi, che chi dice di voler fermare il calcio apre la bocca solo perché non sa cosa c'è dietro: interessi economici, possibili fallimenti. Parla di industria calcio ed equipara la Serie A alle più importanti industrie del paese. Ma non si sofferma su altri due aspetti: 1) Minimizza il rischio sanitario pur sapendo che non si può giocare a distanza di sicurezza né con le mascherine 2) Dimentica che il calcio è sì un'industria, ma è così remunerativa perché si basa su un sentimento chiamato passione e se i tifosi in questo calcio, che pensa solo alle sue logiche, non si riconoscono più, in futuro questo prodotto varrà meno. Ci saranno meno tifosi. 

Lo scontro è in atto. Come fosse una partita. Dimenticando però che questa non è una partita di calcio, ma una scelta politica. E la politica non è bianco o nero, la politica è compromesso: che non vuol dire inciucio, ma considerare tutte le istanze. In questo caso, non si possono ignorare le conseguenze di uno stop prematuro né si può ignorare che tornare in campo in stadi vuoti, solo per soldi e per evitare strascichi giudiziari è quanto di più lontano ci sia dallo sport e dai suoi valori.
E allora, in questo periodo di emergenza, sarebbe stato opportuno prendersi del tempo. Stravolgere il calendario, utilizzare l'estate per discutere di quelle riforme di cui tanto si parla ma per le quali nessuno davvero ci mette mano (stadi, calcio di base, format dei campionati) e prendersi tutto il 2020 solo per completare quanto lasciato incompleto. Ripartire a settembre per concludere questa stagione e poi - nel 2021 e nel 2022 - stilare dei calendari basati sull'anno solare. Una scelta che sarebbe andata incontro anche a un altro evento in calendario, ovvero il Mondiale che nel 2022 prenderà il via in Qatar il 21 novembre. 

E' una proposta che avrebbe potuto salvare il calcio e non solo la Serie A. Che avrebbe permesso alla Lega Serie A di incassare i soldi dalle tv e alla FIGC di evitare un'estate nelle aule giudiziarie. Una proposta che avrebbe evitato una folle corsa (pronta a interrompersi al primo ostacolo) fatta di gare ogni tre giorni in stadi vuoti e permesso anche alla Lega Pro e alla Serie D di lavorare alla conclusione dei loro campionati. Una proposta che avrebbe accontentato tutti, accantonata purtroppo ancor prima di diventare una proposta concreta.
La FIGC avrebbe dovuto accogliere questa idea lanciata in primis da Adriano Galliani e, invece, nemmeno l'ha portata al tavolo di una UEFA che questa settimana l'ha già definitivamente scartata. Il diktat arrivato giovedì da Nyon è questo: finire entro il 3 agosto (la scelta caldeggiata da Ceferin) o stop definitivo.
Non il migliore degli aut-aut, tutt'altro. Perché qualsiasi scelta verrà presa nei prossimi giorni susciterà delle profonde spaccature. O tante 'non' gare a porte chiuse come Parma-SPAL, che nulla hanno a vedere col tifo e molto poco col calcio. O uno stop che comporterebbe danni economici e darebbe il via a un valzer di ricorsi e contro-ricorsi: avete visto cosa è accaduto in Olanda negli ultimi due giorni?


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