Pinzi: "Cosa è stata per me l'Udinese? Una famiglia in cui sono cresciuto e che non avrei mai voluto lasciare"
Centrocampista tuttofare caratterizzato da una grinta fuori dal comune, Pinzi ha vestito la maglia dell’Udinese per la bellezza di tredici stagioni. Soprannominato “Il Gladiatore”, è stato fra i protagonisti indiscussi di questo inizio secolo, dimostrando oltre ad una grande professionalità anche un eccellente attaccamento alla maglia. Con 355 presenze è il terzo giocatore più presente nella storia dell’Udinese
"Ero felice alla Lazio, poi mi scattò la voglia di provare a fare il calciatore, si fece viva l’Udinese. Ci pensai tre minuti e dissi sì, anche se mi dispiaceva lasciare famiglia e fidanzata" racconta Pinzi al Messaggero Veneto.
"Partii da Roma con quaranta gradi, arrivai a Ronchi con pioggia e freddo. Mi venne a prendere Toffolini, che guidando al ritorno in mezzo all’acquazzone rispondeva al telefono e consultava l’agenda. Troppo forte e pittoresco. Piombo nel ritiro e Muzzi mi fa subito una battuta in romanesco per mettermi a mio agio. C’era Giannichedda, che mi ha riempito di trucchetti del mestiere e conosco uno dei mie due fratelloni, Vincenzo Iaquinta.
Iaquinta? Lo sentii tremare prima che De Canio annunciasse la formazione all’esordio di campionato col Brescia. Poi fece doppietta. Vincenzo era un animale, parlava sempre a scatti e un giorno mi ha spaccato la fronte con un oggetto senza accorgersene, procurandomi cinque punti in testa. Mi faceva da autista che non avevo la patente.
Il mio primo gol? Con Hodgson. Un signore. Salutava tutti prima dell’allenamento, solo che eravamo in quarantacinque e quando finiva i saluti eravamo già a metà seduta. Segnai col Verona e ricordo che nell’immediato dopo partita Pozzo annunciò il suo esonero in televisione. Lui non capiva l’italiano e chiese spiegazioni a Bertotto che gli fece capire che Pozzo lo aveva cacciato.
Spalletti? Era un pazzo scatenato. Ricordo che in una partita si mise a mangiare un foglio di carta e a Bologna sollevò la panchina con Pierpaolo Marino sedutoci sopra. Con me e Muzzi era sempre sul chi va là. Ti dava tutto 24 ore al giorno se serviva. Aveva trovato il mix perfetto di allenarci. Con l’Uefa non avevamo feeling, ma poi arrivammo in Champions ed era un piacere vederci giocare.
Ventura? Grande maestro di campo, però la squadra non era idonea alle sue idee e ci salvammo con l’altro mio fratellone Di Michele, che segnò un rigore pesantissimo a Lecce.
Di Natale il più forte? In una classifica è dura non menzionare Sanchez. Quando recuperavi una palla per lui diventava un’azione da gol».
Cosa è stata per me l'Udinese? Una famiglia in cui sono cresciuto e che non avrei lasciato. Avrei voluto finire lì"