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Passione e ambizione vanno bene, ma prima riconfermate Delneri e i giocatori

di Franco Canciani

Rientrato da Londra. Friuli enoico difeso col mio piccolo corpicione e trionfante sulle schiere albioniche.

Ormai la gara di domenica, con uno strascico di polemiche sproporzionato all’importanza del match, lascia solo lontani echi. Lontani. E non ne ho scritto prima perché solo ieri mi sono vista tutta la gara; e poi sarebbe stato facile cavalcare l’onda in un senso o nell’altro. Facile.

Cosa dire? Comprensibile il rigore per gli ospiti, scomposto l’intervento di Silva; comprensibile il rosso a De Paul, non per il fallo di ieri ma perché Pinzani da Sampierdarena assiste assiduamente a Novantesimo Minuto (lui lavora il sabato, da almeno due anni a questa parte) e ha voluto punire quello su De Sciglio.

Incomprensibili i modi della reazione di capitàn Larangeiro, giustamente espulso e per il quale spero non si chieda riduzione delle due giornate comminate. Io gliene avrei date cinque, ma per fortuna del colombiano che ha realizzato il rigore in campo non c’ero io. A proposito: chilometri di commenti a difesa della libertà di esultare; poi si viene a sapere che il suddetto ha preso un rosso per ingiurie a un avversario. E adesso, come la mettete? E come la mettete poi con il pullman degli ospiti che uscendo dallo stadio ha risposto a gestacci ai supporter bianchineri rei di fischiare il signore sovrappeso di cui sopra? Squadra media, qualche buon giocatore ma molta mediocrità. Ad iniziare da chi agita le braccia contro il pubblico, poi messo di fronte alla scempiaggine commessa alza le mani come un bimbone che dicesse “fato gnente io, fato gnente”.

Pinzani da Pegli è un totale incompetente: uno così, che in ventidue gare di cadetteria commina due espulsioni e due rigori ieri ha fatto conto pieno. Il fischietto di San Teodoro quindi ha vissuto una di quelle giornate di totale follìa, ma siamo in un meraviglioso paese dove probabilmente la stagione ventura troverà un posto fisso in massima serie.

Restano però alcune certezze, che mi trascinerò fino all’inizio del prossimo campionato.

L’Udinese non è ancora una volta riuscita a chiudere la gara dopo un primo tempo dominato. Un tiro e un rigore in 95’ il bottino di una Sampdoria cui i tre milioni per la posizione raggiunta faranno comodo: forse il loro presidente ne dovrà vendere uno in meno per far bilancio. E contro i genovesi in chiaro calo di condizione si poteva e doveva vincere, prima ancora che Rodrigo fosse cacciato. Quest’anno, ma non solo, inutile prendersela con i direttori di gara: si doveva e poteva fare di più.

L’Udinese non raggiungerà la fatidica quota cinquanta punti, né il decimo posto: ciò mi costerà la famosa cena, per cui debbo forse pensare che gli obiettivi fissati dalla società siano stati mancati e questo costerà il posto a Delneri, su cui tutti sembrano predicare ottimismo ma del quale il tweet con la foto della firma ancora manca? Sarebbe un errore esiziale, di quelli che si pagano sulla media e lunga distanza.

E questo guida al punto successivo: dalla nazione che condivide a nord le Alpi con il Friuli giungono insistenti e aggiornate notizie sulle nuove iniziative promozionali di una nota azienda salisburghese. Per l’amor del cielo:  alla serata-Vip organizzata sul tavolo verde del Friuli (lo so, ha un nome commerciale diverso ma mi perdonerete se lo ometto) qualcuno parlava di passione ed ambizione; altri, un pochino improvvidamente, pensando di far cosa buona ricordavano come l’Udinese sia una delle “seconde squadre” preferite da tifosi di zone diverse(senza commenti). Insomma, tutti allineati e coperti. Ad essere onesti, e sfidando quelli che chiamano noi diffidenti “ingrati” o “pasuts” (pance piene, ma piene di cosa?), due mesi prima di affrontare l’Arsenal con Neuton ed Ekstrand la stessa persona, cui in generale va il mio incondizionato plauso per la lungimiranza imprenditoriale, affermava “adesso mi voglio divertire”. Ma se non confermano un allenatore che ha sistemato spogliatoio, classifica, per larghi tratti il gioco; un allenatore che ha lanciato Jankto, Fofana, Samir e in ultima battuta Balic ed Ewandro; che sta rigenerando Scuffet, ricreato un rapporto bellissimo con la piazza tutta, umanizzato un ruolo decisamente deperito dopo l’addio di Guidolin; insomma, se non firmano un biennale con Gigi l’Aquileiense e non hanno intenzione di convincere la proprietà ad alienare le quote, perché tutto ciò?

Forse me lo possono spiegare quelli che benpensano. Francesco di Gesù ha creato questo azzeccatissimo concetto, nel quale si concentrano le pubbliche virtù di molti, forse troppi. Pubbliche, appunto.

E quindi quelli che Danilo è un cattivo esempio per i bambini; quelli che l’esultanza del realizzatore del rigore può a buon diritto offendere gli avversari; quelli che “questo non è sport”. Che il capitano dell’Udinese abbia sbagliato è palese: nell’eccesso di reazione, non nel far notare al falso magro che costui, a coloro i quali stava sfottendo, deve molto, se non tutto: l’abbiamo coccolato, atteso, ne abbiamo sopportato gli eccessi e gli stravizi, lo abbiamo supportato quando si ribellava al dietologo “ad personam” arrivando (noi) a sostenere come forse la sua forza fosse proprio la panza, novello Sansone coi suoi capelli. Ecco: in nome di questo, amico mio segna, vai sotto la curva con i venti tifosi al seguito, esulta e batti il pugno sul petto. Fine.

A tutti questi opinion leader fai-da-te chiederei anche un parere sul perché all’Udinese il dinamismo a parole faccia a pugni con la realtà, fatta di nomi che escono (ad arte?) andando regolarmente bruciati (secondo me Pavoletti finirà alla Viola con Pioli, in vece di Kalinic). La chiedo a loro, quelli che benpensano, l’opinione poiché essi ne hanno sempre una, se non più d’una. Io onestamente terrò a questa squadra anche dovesse tornare in serie C: ci sono già passato. Per cui le domande me le pongo, in segreto e a bassa voce.

Domenica sera si chiude un’altra stagione; qualcuno dirà “pasut, salvezza acquisita, missione compiuta!”; per me buttata, a meno che non se ne faccia tesoro e si riparta dai punti fermi: il direttore sportivo, qualche giocatore, l’allenatore. L’allenatore.

Finisca come deve: cambia poco. Cambia anche poco dal punto di vista di chi per questa formazione soffre, ad iniziare dal biaschese Aurelio il quale macina chilometri dalla Svizzera, patria adottiva di un friulano vero, verso gli spalti di mezz’Italia. Onore a lui ed agli altri, alcuni dei quali citati nel recente felsineo passato, i quali riescono a trasformare molto spesso vibrazioni negative in qualcosa di positivo, ad iniziare dallo stare assieme. Aurelio è stato premiato, alla cena Vip di cui sopra, con una targa societaria. Mi dicono della sua commozione: mi piace pensare che questa sia stata condivisa da chi gestisce la società per nome e conto della proprietà (estera?) della squadra. Forse chiedo troppo, lo so; forse agli imprenditori giovano freddezza, calma e ragionamento. È per questo che ho scelto da tempo il cappello da prendere. È per questo che sono un imprenditore differente, con la pelle d’oca e la lacrima facile facile.

Un solo appunto, ai tifosi miei bianchi e neri: avete sbagliato a fischiare l’ex giocatore bianconero, domenica. Bene gli applausi a Bruninho e Quaglia-gol, ma il signore in questione avreste dovuto ignorarlo. Perché potrà vincere sei palloni d’oro, il talento c’è, ma il mio parere non cambierebbe: non si fischia una nullità.


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