Nel segno della contestazione. L’Udinese siamo noi, solo noi!
Quella che si è appena conclusa al Friuli è stata una giornata calcistica nel segno della contestazione. La tifoseria friulana ha abbandonato il tipico stile pacato e comprensivo, sfogando prima, durante e dopo il match tutta la rabbia accumulata in questi ultimi mesi. Nel mirino sono finiti tutti, dai calciatori alla dirigenza, passando per il mister, la punta di un iceberg che non manca mai, da gennaio a questa parte, di sciogliersi davanti alle prime difficoltà.
La corsa ad ostacoli dell’Udinese verso l’agognata salvezza ieri ha trovato davanti a sé un vero e proprio muro, difficile da oltrepassare per mettersi definitivamente in salvo: riconquistare l’appoggio e la fiducia del proprio pubblico. L’invito lanciato nel fine settimana da parte di Ultras e Auc di entrare 15 minuti dopo il fischio d’inizio è stato recepito in parte. Sugli spalti si sono avvistati diversi friulani, anche se come preannunciato non hanno risposto né alla lettura delle formazioni, né hanno indirizzato un applauso di incoraggiamento ai calciatori bianconeri. Nonostante lo sciopero di massa non sia andato del tutto in porto, molti erano seggiolini senza il proprio “usufruttuario”. Il settore occupato abitualmente dagli ultras, proprio dietro la porta, era vuoto. Al posto dei supporters friulani campeggiava lo striscione recante la scritta “Ora basta. Adesso tocca a voi.” Tocca a voi, cari giocatori, fare la vostra parte. Tocca a voi sudare, impegnarvi e portare a casa i punti necessari per rimanere nella massima serie. I tifosi non scendono fisicamente in campo e nemmeno hanno le tasche piene di milioni. Gli appassionati seguono il proprio cuore, reagendo spesso di pancia, così com’è avvenuto nella partita contro la Roma.
All’interno dello stadio, davanti ai teleschermi e ai bar, in curva i friulani scaldavano la voce per la protesta. Dopo alcuni insulti all’indigesto ex Spalletti, la tensione è salita al 14’, dopo l’ennesimo gol subito fra le mura amiche. Un minuto dopo, sulle note di “L’Udinese siamo noi, solo noi!” i scioperanti sono ritornati a fare il proprio mestiere preferito: incitare. La pretesa di “volere undici leoni” lanciata dagli spalti è rimasta tuttavia inascoltata dai protagonisti in campo. Nemmeno il tifo è riuscito a decollare; a differenza delle ultime uscite i ragazzi della Nord non sono riusciti a coinvolgere il resto del pubblico, decisamente irritato dallo spettacolo offerto. L’Udinese, come d’abitudine, non è pervenuta e i fischi sono piovuti impetuosi al calare del primo tempo.
La buona volontà di stare vicino alla squadra e spronarla verso il pareggio è stata abbandonata alla metà della ripresa, quando si è capito che si sarebbero tirati i remi in barca. “L’Udinese dov’è?” L’interrogativo che si è alzato dalla curva fa riflettere. La squadra che un tempo mangiava l’erba e incuteva timore alle grandi è un lontanissimo ricordo. Mai come in questa stagione la mancanza di cattiveria ha portato l’Udinese ad un passo dal baratro. Paradossale, se si pensa che Stramaccioni è stato liquidato proprio perché c’era bisogno di uomo con il polso fermo, un sergente di ferro alla Colantuono. Una fama incredibilmente smentita dai fatti. Il raddoppio della Roma è riuscito ad unire tutto lo stadio contro il mister bianconero. Le critiche lanciate ultimamente sul web all’indirizzo del tecnico si sono concretizzate in un applauditissimo coro che ha invitato il tecnico ad andarsene.
Nell’ultimo quarto d’ora di partita è salita la tensione sugli spalti e la rabbia si è riversata sui calciatori, accusati di non avere rispetto verso la maglia che portano. A “Ci avete rotto il c…o” è seguito un invito chiaro ad abbandonare la carriera agonistica. “Se non sapete giocare, andate a lavorare”. Il gol di Fernandes all’84 non è riuscito né a placare gli animi, né ad agguantare il pareggio. La contestazione si è riversata sulla dirigenza, colpevole di non aver allestito una squadra all’altezza poiché troppo impegnata a pensare al bene di altri lidi. Subito dopo un “Pozzo devi spendere!” si sono chiuse le ostilità. La quindicesima sconfitta in campionato è stata accompagnata da bordate di fischi. La squadra, forse sentitosi in dovere di chiedere scusa e riconciliarsi con i propri tifosi, si è presentata unita all’appello sotto la curva. Il Cola, invece, avendo intuito l’aria che tirava, si è infilato subito sotto il tunnel che porta verso gli spogliatoi. Mai scelta più azzeccata considerato ciò che è avvenuto a ridosso della Curva Nord. Surclassati da fischi, diti medi e insulti, i calciatori hanno dovuto mettere da parte presto le buoni intenzioni. Il più esagitato fra i bianconeri è stato sicuramente Danilo. Beccato da alcuni tifosi, il brasiliano ha risposto concitatamente, invitando a “regolare i conti” fuori dallo stadio ed esibendo il dito medio verso la curva. All’indirizzo dei calciatori ancora a ridosso degli spalti sono poi volate birre, costringendo Collavino a chiamare la ritirata.
Alla luce di questi eventi il solco fra la piazza e tutti i componenti dell’Udinese Calcio si fa sempre più profondo. In più di vent’anni di serie A mai si era assistito a tali scene. La protesta dagli spalti si è in seguito spostata all’esterno dello Stadio. Più di un centinaio di tifosi ha aspettato che i calciatori uscissero dagli spogliatoi. Per paura che la situazione degenerasse le forze dell’ordine in temuta antisommossa hanno creato un cordone per far uscire senza preoccupazioni la rosa bianconera. La contestazione, però, non hai mai superato il limite e non è andata mai oltre qualche fischio o a un “L’Udinese siamo noi, solo noi.”
La piazza chiede a gran voce di correre ai ripari ed intervenire, in primis sostituendo l’allenatore. Non a caso alcuni supporters presenti in piazzale Argentina hanno inneggiato l’indimenticato capitano Valerio Bertotto. La famiglia Pozzo si è trincerata a meditare sul da farsi. Solo le prossime ore ci diranno quale sarà il verdetto definitivo.