GSA-Alma. Detto tutto
Cito Peppino de Filippo. Scelgo una foto d'antan (grazie Mario), di quando eravamo ragazzini e il Lions Den, li sopra, ci pareva mitico. Noi stavamo sotto, con gli amici di sempre, a guardare i fratelli Savio, Lingenfelter, un certo Walter Szczerbjak che tutti chiamavano caramelo. Un saluto agli amici volati in cielo, ad iniziare da Beppe che sicuramente venerdì sera siederà sulla nuvola bianca proprio sopra il Carnera, urlando come un pazzo.
Ventiquattr'ore. Sole Ventiquattr'ore e sarà derby.
Ci ho provato: ho provato a considerarla una gara di cartello, sì, ma come tante altre, come quella (vinta) contro Montegranaro sabato sera.
Ci ho provato, a battere il lavoro ed essere lì, in prima fila, a fare a coach Lino le domande che avevo pensato: siete tranquilli? Come stanno gli infortunati?
Invece anche in periodo festivo il mondo non si ferma, per fortuna, ed alle diciannove e trenta ero lontanissimo dalla Samarcanda del Carnera.
Allora mi rifugio nella scrittura per abbreviare la sofferenza dell’attesa.
Già: ci ho provato, ma non ci sono riuscito.
Nonostante il mio derby cestistico sia quello contro la Ginnastica Goriziana, le partite contro Trieste non sono mai, mai!, gare normali. Ma stiamo parlando del contorno, del campanile, San Giusto contro l‘Angelo che indicava ai giuliani, l’anno passato al PalaLongobardi, una certa strada con un dito che non era proprio l’indice, ed elevato anziché calante.
In campo ci vanno la prima e la seconda in classifica.
Di solito descriviamo l’avversaria della GSA a beneficio di chi, magari, non la conosca bene; cercando, insomma, di spiegare a chi non è maniaco come il sottoscritto quali siano le origini degli stranieri, quali i loro procuratori, quali le meccaniche di gioco che ci vedremo di fronte in partita.
Stavolta è inutile: la Pallacanestro Trieste è una corazzata, punto. Era forte l’anno passato (quando anche i sassi capivano che in A1 ci doveva andare una certa squadra, forte sì ma meglio così per tutti); quest’anno all’organico top della scorsa stagione, con l’aggravante per le rivali di un Javonte con un anno di esperienza in più (perché quando arrivò non era mica forte come oggi, e l’anno passato tutti pensavano Parks fosse la stella) si sono aggiunti il miglior playmaker classico della serie A, l’argentino lobito Fernàndez; un secondo straniero come Lawrence Bowers, da poche settimane arruolato alla causa dopo un noioso problema al ginocchio, l’anno passato venti punti di media a Ferrara; Federico Loschi, ex Scafati e Recanati ed esperto della categoria nonostante l’età; Giga Janelidze, georgiano ex Jesi e reclutato quando Bowers era costretto ai box.
Tutto ciò su un telaio collaudato: il vecchio Cittadini, Da Ros, Baldasso, Coronica, Cavaliero, l’ex Bobo Prandin: insomma se ne hanno vinte dodici su tredici non è certo per bontà divina.
Trieste è squadra che segna tantissimo, e vive su folate implacabili in attacco: 54% da due, 38% da tre, 86% ai liberi per 85 punti di media sono numeri da far tremare le vene ai polsi. In più difende duro e sporco (commette paradossalmente più falli di quanti ne subisca) costringendo l’avversaria a giocare male, senza fluidità in attacco.
Vista così, sembra persa: invece no.
La GSA difende meglio di Trieste, con medie realizzative inferiori ma non di molto; sotto canestro raccoglie una decina di rimbalzi in più, frutto del lavoro da tag-team di Chris, Ciccio, Ous, Andy e Miki Ferrari (quando sta bene). lì si potrebbe colpire, se Mortellaro continuerà a garantire qualità, se Pellegrino mostrerà ancora progressi, se Diop giocherà per il talento che il cielo gli ha dato.
Udine se la può giocare se Rain capirà di non galoppare sempre e comunque all’attacco dell’anello; se KayDee avrà riassorbito il colpo preso a Bergamo; soprattutto se si giocherà a ritmi controllati e non al run’n’gun che tanto piace a Green. Sarà difficile contenere Javonte, sarà allora fondamentale togliere spazio e respiro agli altri, che all’andata dell’anno scorso ci fecero malissimo da fuori. Parlo della gara del PalaRubini perché al ritorno Dany-da-tre e compagni fecero a pezzi i biancorossi aldilà di ogni ragionevole differenza tecnica, suscitando le ire dei tifosi giuliani. All’andata un Allan Ray sontuoso ma troppo solo non riuscì a contrastare la verve di Green, Parks e le triple di Prandin e Da Ros. Perdemmo di sette, ma a metà ultimo quarto eravamo sotto di venti.
Aldilà del campanilismo che ci sta, dobbiamo dirlo: l’Alma è una grande squadra. Secondo me fosse già nella serie superiore terrebbe dietro più di qualche formazione, seppur dotata (quest’ultima) di batterie infinite di stranieri spesso modesti. Il merito è molteplice: una società che da cinque, sei anni staziona nella categoria programmando il futuro (e che rischiò la ghirba nei primi due anni di A); una squadra che negli elementi fondamentali cresce assieme da diverse stagioni; soprattutto un coach, Dalmasson, ormai sessantenne e da sempre un maestro di basket, uno di quelli che hanno tutta la garra che serve per arrivare in alto, ma altrettanta pazienza nell’insegnare, correggere, spiegare e carezzare coloro i quali proprio non capiscono.
E la pazienza di ‘Genio, due volte campione d’Italia con le giovanili di Mestre, dovranno mostrarla i nostri giocatori: palla dopo palla, azione dopo azione, senza farsi prendere dall’emozione o dalla frenesia ma facendosi sospingere da cuori e voci di tremilacinquecento friulani.
Che sia una bella partita di basket, con i giusti sfottò sugli spalti. Senza mai travalicare i limiti, e soprattutto senza che qualche tesserato si senta in dovere di sfoggiare in campo magliette che spieghino il poco amore per Udine. Ai tempi, Nino Pellacani e Roberto Freak Antoni idearono lo slogan “odio il brodo” rivolto all’avversaria cittadina: siccome nessuno nella Venezia Giulia mi pare dotato di tale genialità, si lasci perdere.