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ESCLUSIVA TU - Delneri: "Ho voglia di tornare ad allenare. Cosa non funzionò con l'Udinese? Dopo la salvezza era meglio che ognuno andasse per la propria strada"

di Stefano Pontoni

Una carriera nel mondo del calcio ricca di soddisfazioni quella di Gigi Delneri. Il tecnico friulano, ai box dopo l'ultima esperienza in bianconero, si è raccontato ai nostri microfoni.

Cosa pensa di questa situazione? Secondo lei il campionato potrà ricominciare?

"Ci aspetterà un momento molto complicato, dobbiamo sapere restare uniti. Serve, però, sapere quali sono le regole per ripartire, ad oggi nulla è chiaro. Non so se il campionato potrà ricominciare, c'è una questione etica e una economica. Va tenuto conto che il calcio è anche una grande azienda e che oltre ai giocatori ci sono migliaia di altri lavoratori normali. Se ripresa sarà dovrà essere in sicurezza. Va tenuto conto che il calcio è uno sport di contatto ed è impossibile mantenere una distanza di sicurezza soprattutto in partita".

Come si prepara un campionato in queste condizioni?

"Non serve un mese di preparazione, in una situazione del genere, con tante partite ravvicinate, ci si allena giocando. Fossi io non farei richiami di preparazione, lavori pesanti, la corsa la si ritrova in partita. La condizione in un paio di settimane la si riesce a trovare. Non sarebbe un problema giocare ogni tre giorni, chi fa le coppe è già abituato. Con un po' di turnover in più sarebbe passibile". 

Le manca la panchina?

"La voglia di tornare ad allenare c'è. Ho ricevuto diverse offerte per ricominciare. Ogni progetto interessante lo prendo in considerazione. Mi piacerebbe fare un'esperienza all'estero, magari in Inghilterra, ma se c'è un progetto valevole alle spalle accetterei anche una panchina di B. Vediamo che succede, ripeto, la voglia di ricominciare c'è e quella è la cosa più importante".

Una avventura all'estero però lei l'ha già avuta, al Porto. Cosa non funzionò?

"Al Porto sono arrivato dopo che con Mourinho avevano vinto tutto. Ritenevo che si dovessero fare alcuni cambiamenti, inserire dei giovani. Quando il gruppo storico ritornò ad allenarsi iniziarono le prime incomprensioni. La società preferì continuare con lo stesso blocco dell'anno prima. Mi dispiace veramente per come è andata e soprattutto per il fatto che qualcunò pensò che non avessi il pedigree per allenare un certo tipo di squadre. Fossi stato Capello sarei ancora là, invece ero Delneri e venivo dal Chievo, una piccola squadra della Serie A". 

E a Udine che è successo?

"Era meglio non cominciare la seconda stagione. Dopo la salvezza la cosa migliorare forse era quella di andare ognuno per la propria strada. 

Ma perché l'Udinese ha cambiato così tanti allenatori negli ultimi anni?

"Entrano in gioco delle dinamiche in cui l'allenatore non riesce più ad incidere come dovrebbe. Ad un allenatore serve tempo per mettere in pratica le sue idee. Il mondo Udinese a come scelta quella di variare molto la rosa, di ricominciare sempre da zero e ciò mette di certo in difficoltà gli allenatori". 

Cosa ci può essere nel futuro dei bianconeri?

"L'Udinese ora ha bisogno di continuità. Gotti, un ottimo allenatore, può essere un buon punto di partenza. E' una squadra che da 25 anni è in Serie A, non sempre può raggiungere l'Europa. Se una squadra è da così tanti anni ai massimi livelli un motivo c'è. Penso che la squadra sia buona, ci sono diversi giocatori importanti, come Okaka per esempio che si è rilanciato. Deve cercare giocatori affamati da inserire nel nuovo progetto, giovani da lanciare". 

Si parla tanto della cessione di De Paul. Secondo lei è pronto per una big?

"De Paul è un giocatore di qualità. In questi anni è migliorato moltissimo, anche in fase di ripiegamento. Fisico, qualità tecnica, fa gol, è un giocatore completo. Stiamo parlando in un titolare della nazionale argentina, sono sicuro che può fare bene anche in una grande squadra. Deve, però, trovare il ruolo a lui più adatto". 

In bianconero gli anni più belli da calciatore?

"Anni che non si ripetono, era un calcio diverso, più familiare e sentito. Mi ricordo, l'anno della B, di quando andammo tutti insieme a fare carnevale in giro per le piazze di Udine, ora una cosa del genere non è nemmeno immaginabile. Era così però che si costruiva un gruppo, un'unione. Avevamo creato un contesto vincente. Si stava molto insieme, c'era una grande amicizia tra di noi. Per vincere non basta solo la tattica o la tecnica, servono anche queste cose".

Un allenatore può incidere sulla costruzione della squadra?

"Qualche volta sono riuscito ad incidere sul mercato. In certi ambienti no, in altri sì. Alla Samp io e Beppe Marotta spesso ragionavamo insieme su come costruire la squadra, stesso accadeva al Chievo. All'Atalanta mi ritrovai invece una squadra già pronta. E' sempre importante che tra società e tecnico ci sia un connubio, un progetto condiviso. All'allenatore, comunque, non spetta il compito del mercato, deve incidere non sugli acquisti ma sull'idea di calcio". 

E' vero che certi allenatori si fanno imporre dalla società i giocatori?

"Se avessi accettato questa cosa forse sarei arrivato prima in Serie A. Non mi è mai piaciuta l'intransigenza della società nelle scelte di campo, non la trovo corretta nei confronti di chi allena. Mi sono sempre rifiutato". 


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