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Storie Mondiali | La rinascita di Manuel Neuer nella terra di Lev Yashin

di Federico Mariani

Gli occhi sbarrati, l’urlo strozzato in gola. Questi sono alcuni dei sintomi più frequenti in un attaccante stregato dall’intervento prodigioso del portiere. Una situazione verificatasi diverse volte, a più riprese. Il ruolo dell’estremo difensore ha due volti: quello crudele e spietato dell’inammissibilità dell’errore, pena il gol regalato all’avversario, e quello romantico e spettacolare dell’intervento in extremis, decisivo e risolutivo per impedire di incassare la rete. Pro e contro di un ruolo suggestivo, capace di diventare croce e delizia di una squadra.

Il Mondiale russo si è presentato scegliendo come propria icona proprio un portiere, anzi, il numero 1 per eccellenza: Lev Yashin. Nato nel 1929, è stato più di un semplice calciatore. Ha rappresentato un punto di riferimento per il proprio ruolo, riscrivendo i canoni del custode dei pali, completo in ogni fondamentale. La forza del sovietico, Pallone d’oro nel 1963, stava nell’abbinare il fisico imponente con la puntualità nelle uscite e la rapidità dei propri interventi in porta. Insomma, una sorta di acrobata dalla stazza di un pugile, flessibile ed adattabile ad ogni situazione. Ed anche un abile psicologo. Già, Lev sapeva come incanalare il match sui binari a lui favorevoli. Utilizzava gli interventi da lui compiuti come foraggio per la propria autostima e clava per il morale degli avversari che sbattevano contro di lui. Alternava la fredda impassibilità di chi è abituato a sopportare il rigore dell’inverno russo con lo sguardo fisso di un guerriero pronto a sfidare il rivale con ferocia inaudita. Yashin sembrava fuoriuscire da un poema omerico, con lo sfondo dei romanzi russi. Era un Achille privo del tallone, imponente come Aiace Telamonio, ma astuto quanto Odisseo. Il tutto ambientato in uno scenario particolare, in continuo cambiamento. Lev era un cannibale a modo suo. Trasformava la contesa in un agone personale, in una sfida tra lui e gli avversari, come se i compagni di squadra non esistessero. E spesso vinceva grazie al suo talento e alla sua solidità mentale.

Yashin era ed è rimasto un riferimento per tutti i portieri. Lo è stato per Iker Casillas, Petr Cech e Gianluigi Buffon, tre dei grandi numeri 1 degli ultimi quindici anni. Curiosamente, Russia 2018 dovrà fare a meno delle loro prodezze, tra mancate qualificazioni e convocazioni. Sarà un Campionato del Mondo atipico sotto questo aspetto o probabilmente l’inizio del ricambio generazionale. Si scaldano lo spagnolo David De Gea ed il francese Hugo Lloris, nonostante qualche recente balbettio. Sogna in grande Alisson, fenomeno brasiliano esploso con la Roma. Tuttavia, il riferimento sembra essere ancora lui, Manuel Neuer. Acciaccato, arrugginito, per alcuni addirittura finito a causa dei tanti infortuni, ha rischiato di non partecipare al Mondiale. Ed invece il tedesco c’è ed ha fatto la differenza nel match cruciale contro la Svezia, trascinando la sua Germania verso il successo con almeno due interventi provvidenziali. Parate da effetto “sliding doors”, capaci di invertire la tendenza di una partita. Lev e Manuel, così diversi nel modo di fare ed eppure così simili. Neuer è lontanissimo dai canoni classici del sovietico. A volte, para utilizzando il polso seguendo il principio della pallamano o della pallavolo e garantendosi la possibilità di una presa in due tempi. Impensabile per un purista della categoria. Per non parlare delle uscite spericolate, talvolta fino alla metà campo. Inaudito per un portiere vecchio stile. Eppure, il tedesco non si smentisce mai. Sa essere un rivoluzionario vincente, in grado di sperimentare e cambiare. Qualità che, forse, avrebbero fatto piacere anche al buon Yashin. Magari, si sarebbe pure avvicinato al campione del Bayern Monaco chiedendogli con la sua consueta pacatezza: «Ehi Manuel, ma spiegami un po’ quella cavalcata fuori dall’area…». Roba da numeri 1.


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