Parla il tifoso autore della protesta: "Protesta pacifica ma i vigili mi hanno messo le mani addosso. Non si può accettare la svendita dei nostri valori"
La nostra redazione ha intercettato Paolo Di Bernardo, autore della protesta contro il nuovo naming dello stadio di questa mattina di fronte al palazzo comunale di Udine. Una protesta che voleva essere un ultimo tentativo pacifico per ribaltare la decisione dell'Udinese e delle istituzioni ma che si è trasformata invece in una dura repressione e in attimi di grande tensione.
"Il mio intento era quello di evidenziare la protesta che esiste in rete a favore del mantenimento del nome originario "Stadio Friuli". La regione ha accettato il nuovo nome "Dacia Arena" ma è il consiglio comunale che ha l'ultima parola. Ci sono ancora i margini per poter ribaltare la decisione ma la gente ,sopratutto i giovani, non esce in piazza a protestare a denunciare i soprusi come ai tempi di Zico".
La sua era una protesta pacifica?
"Certo, non c'era nessuna violenza. Da una persona come me che sul braccio ho tatuato Gandhi non potrebbe essere altrimenti. Non ho reagito ai vigili. Questi però invece hanno usato la forza per bloccare la mia protesta. Sono solo fuggito dai loro modi aggressivi.
I vigili mi hanno chiesto i documenti, poi però mi hanno messo le mani addosso. A quel punto non ho potuto fare nient'altro che buttarmi a terra gridando.
Mi hanno verbalizzato cinque sanzioni amministrative più mi hanno rimosso il furgone e notificato il reato di oltraggio a pubblico ufficiale. Sono stati loro però che mi hanno rincorso, messo le mani addosso e disteso davanti a un bar. Una scena davvero brutta soprattutto perché c'erano delle persone sedute di fuori e anche due bambine che a vedermi a terra si sono messe a piangere. La gente che gridava "Ma prendete i veri delinquenti!
Devo dire grazie per la solidarietà a queste persone. Uno ha filmato la brutalità dell'evento e il vigile però lo voleva fotografare e segnalare. Questa è l'Italia ma sembrava tanto di essere in Corea del Nord".
Spera che la sua protesta sia valsa a qualcosa?
"Spero davvero di sì perché non si può accettare che vengano svenduti i nostri valori e la nostra tradizione. La protesta per mantenere la denominazione stadio Friuli non è solo da bar ma anche tante eminenti figure intellettuali si sono schierate con fior di articoli. E cosa intellettuale anche per chi snobba il calcio"