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Udinese: un pari targato Tudor

di Franco Canciani

Non ci sono repliche se sostengo come Igor Tudor non sia Conte o Mou, ma legge le gare e cambia le carte in tavola. Con buona pace delle verginelle del mister precedente.

La fortuna non c’entra: l’Udinese salva lo 0-2 (immeritato come lo 0-1, estemporaneo, nel primo tempo) e dopo 8 secondi lo tramuta in pareggio (Okaka-Fofana-Lasagna) solo perché, oggi, i giocatori ci credono. E l’altroieri non lo facevano.

Inoltre la squadra è messa in campo con raziocinio, al netto di un livello che, alla fine, è questo qui.

L’Udinese pareggia a San Siro, e potevano essere tre punti: solo tre settimane fa, però, quando l’Udinese prendeva schiaffi a Napoli e il Milan si accingeva a distruggere l’Inter, tutti noi avremmo pensato alla gara di stasera come all’ennesima, timida, incolore e vana difesa della porta vista in troppe precedenti occasioni.

Già: Davide non è più il nostro mister perché del suo ci ha messo troppo poco. Troppo sparagnino l’atteggiamento, troppe poche le pedine offensive schierate, troppo prossima alla porta la seconda linea di difesa. Tutto funziona se tieni pulita la rete, ma quando inizia a grandinare…

Anche a Milano Igor se ne frega e schiera tre giocatori capaci di offendere; anche a Milano, come sabato scorso, nel primo tempo contiene e poco più: ma nella ripresa, quando i rossoneri si allungano in campo, inserisce Okaka e strappa la gara. L’Udinese impatta, rischia a più riprese di realizzare il raddoppio più che di subirlo, controlla col giusto piglio e limitato affanno gli assalti, sterili, dei padroni di casa.

Un punto d’oro: anche se all’ultimo respiro Rodrigo conduce un contropiede da manuale che avrebbe potuto, forse dovuto avere miglior sorte.

E la gara di domenica prossima si ammanta ancor di più di ‘match point’ per la salvezza, specie se domani il Napoli farà, al Castellani, il proprio dovere.

Questa gara, più della precedente, mi fa trarre (perdonate l’iperbole) delle conclusioni preliminari.

Intanto che ho ingiustamente sottovalutato Igor Tudor. Sulla panca friulana il dalmata (nelle sue due avventure) ha sinora tre vinte, due pareggiate ed una persa. Dimentico, spesso, che ha vinto due campionati in serie A con la Juventus, centotrenta gare coi torinesi, addirittura accettando di scendere di categoria quando Cobolli Gigli barattò un destino pesante ed incerto con una retrocessione ivi inclusa la penalizzazione.

Evidentemente da grande, ex giocatore con sessanta gare in nazionale Tudor ha saputo utilizzare le parole giuste per motivare i suoi. Schierare a San Siro contemporaneamente quattro calciatori d’attacco è ‘tantissima roba’: fornisce, al contempo, pensieri al mister avversario ed autostima ai propri ragazzi.

Ma qualcosa c’entra anche aver assunto un ex-giocatore dal bianconero tatuato nell’anima: mi piace pensare che Giampiero Pinzi abbia iniziato a far capire quanto pesi la maglia biacca e carbone.

Secondo: dall’altra parte ho visto un Milan a pezzi: fisicamente, quando (dopo gli infortuni di Donnarumma e Paquetà) i friulani avevano più energie dei rossoneri; tecnicamente, se è vero (com’è vero) che il décalage di talento esiste ma non si è affatto notato. Tatticamente: Tudor cambia faccia alla sua squadra tre volte, mentre Gattuso, in preda a dubbi terribili, non trova di meglio che togliere l’inguardabile Abate di questi tempi per inserire un altro terzino, Calabria, col compito di controllare Okaka e cercare qualche cross (mai riuscito).

Mi sarei aspettato un cambio propositivo: la verità è che Rino, uomo verticale ma allenatore non da Milan, e lo dicevo anche quando, all’andata, le cose rossonere parlavano lingua d’alta aspettativa, non ci capisce nulla. Dando prova, Gattuso, di come Leonardo abbia ragione quando fa intendere che il calabro è uomo di Mirabelli, e per questo a chiara scadenza come un litro di latte.

Infine: trovo Tudor, oggi, superiore a Nicola perché il buon Davide, come troppi predecessori sulla panca friulana, stereòtipa i cambi e legge modestamente le variazioni tecnico-tattiche e di ‘momento’ durante le gare. Per intenderci, stesso vizio manifestato da don Julio.

Ultimo esempio, in tal senso, Stramaccioni che aveva altri problemi (la gestione dello spogliatoio, ad esempio).

Ventinove punti, pari con la S.P.A.L. la quale domani gioca contro la Lazio. Il Bologna sarà di scena all’Atleti Azzurri d’Italia, l’Empoli come detto ospiterà i partenopei, mentre facili le gare per Sassuolo (Chievo) e Parma (Frosinone). Il Cagliari ha perduto contro la vorace Juventus di Kean (soliti ululati razzisti di un settore dell’Arena sarda: la civiltà dei locali dovrebbe emarginare questa manica di cretini incivili), e l’Udinese si trova, in un turno che pareva sfavorevole, il destino nelle proprie mani.

Un punto d’oro: adesso basta far valere il fattore campo – Stadio Friuli e l’ennesima stagione di massima serie sarà assicurato. Senza gloria, intendiamoci: ma dopo la depressione della gara contro il Chievo e le scoppole di Marassi, Allianz e San Paolo quanto visto stasera ha del miracoloso.

Tudor non è un mago, né un genio: ma par di sapere fare il mestiere per cui viene retribuito. Dovesse finire bene questa stagione, la società farebbe bene a confermarlo e discutere con lui il futuro. Che deve ripartire da punti fermi indiscutibili: Musso, Ekong e Nuytinck, Sandro, soprattutto Okaka e Pussetto.

Ma non voglio guardare troppo lontano: la gara contro l’Empoli vale una stagione. Sperando di dimenticare, una volta per tutte, la rete (per me foriera di retrocessione personale) di Marco Davide Faraoni.


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