Udine (e Bergamo), provincia di Anfield. L'elogio della Sottilità
A prescindere dalle formazioni che fanno battere il cuore di chi legge è doveroso togliersi il cappellaccio di fronte ai giocatori scesi ieri in campo allo Stadio Friuli: gara non sempre spettacolare, ma intensa, veloce, grazie a due formazioni più britanne che italiche. Venti corpi in una quarantina di metri: più frenetica l'Udinese che pecca spesso di 'gioventù' a certi livelli; più ordinata l'Atalanta, che festeggia le trecento panche nerazzurre (bergamasche) in sette anni del proprio allenatore. La rete di Lookman (il permaloso e plateale Doveri lo ammonisce pensando, malamente, ad uno sberleffo ai tifosi bianconeri) su passaggio di Muriel, fotocopia della rete realizzata alla Fiorentina, rompe un equilibrio parso quasi incrollabile. Il raddoppio su rigore di Muriel, che resiste all'esultanza (lo saluta il Larangeiro Danilo) sembra chiudere i conti, come pensano i duemila tifosi ospiti accorsi a godersi lo spettacolo; d'altra parte, chi avrebbe scommesso, in quel momento, sulla rimonta friulana? Non certo, ahilui, Gasperini che con mezz'ora da giocare decide una prematura standing-ovation per i suoi due punteros.
Noi sì. Perché conosciamo i nostri polli.
Di lì in poi è un assolo friulano: dentro Lazzaro e Tolgay, dentro Success per un Beto che dimostra come gli giovi, in questo momento, subentrare piuttosto che partire negli undici: meno soli, Gerardo Deulofeu e capitan Pereyra (centocinquanta caps in maglia biancanera) trovano fraseggio, pressing ancora più esasperato, schiacciando la Dea nella propria trequarti dalla quale né un anonimo Malinovs'kyj né l'acerbo Højlund (ma si farà) riescono a tenere alta la propria squadra. La rete è nell'aria, ed una discutibile punizione conquistata da Success è trasformata da Deulofeu (barriera e Sportiello non irreprensibili) e dopo una decina di minuti Deulofeu illumina; Pereyra scodella e Nehuen Pérez incorna il pareggio. Arslan ha anche l'occasione del vantaggio clamoroso, ma obiettivamente sarebbe stato troppo.
Debbo dire che uno stadio gremito, due tifoserie calde e tutto sommato corrette, due squadre che giocano al calcio o quantomeno ci provano sempre hanno colorato per me un balsamico pomeriggio di mezz'autunno; se il classico alieno (Asura o Deva, scegliete voi) atterrasse presso la sede della preposta televisione a pagamento e gli venisse chiesto, davanti a due schermi, quale gara potesse meglio rappresentare il giuoco del calcio fra quella di Udine e quella, la sera prima, disputata a San Siro; bene, quell'alieno avrebbe avuto pochi dubbi.
Eppure l'Udinese è considerata un fuoco di paglia, l'Atalanta Bergamasca Calcio quasi un'ospite moderatamente desiderata in mezzo alle teoriche prime della classe. Se vi piace così, godetevi il mondiale invernale e il catenaccio delle vostre supersquadre.
Io non ho mai smaniato per Gian Piero Gasperini, lo dico da sempre. Simpatia o antipatia però non obnubilano il cervello a tal punto da non riconoscere il talento. A dispetto di mille colleghi che pèrdono e si lamentano della mancanza di 'quel' giocatore che avrebbe fatto comodo nel proprio schema di gioco, quello e sempre, comunque quello, il 'Gasp' smoccola pubblicamente in precampionato ma poi prende quel che gli danno, modifica la strategia in campo e ottiene risultati ancora più importanti rispetto al pur brillante recente passato: difesa blindata, anche con Okoli e Scalvini; attacco che punge con Zapata fuori e Muriel ad un positivo canto del cigno; in mezzo si affida a un senatore come Koopmeiners, ovviamente snobbato dalle cosiddette grandi formazioni, che anche ieri ha mostrato cosa significhi visione di gioco e incisività in campo. Un errore, come detto, Gasperini lo ha fatto: l'ha data per vinta troppo presto. L'Udinese non muore (sportivamente) mai, anche ieri lo ha dimostrato e il pari è ampiamente meritato.
Bravi tutti.
Prima o poi il mondo calcistico italiano prenderà atto che sì, per vincere bisogna violentare i bilanci, acquistare grandi figurine che contribuiscano a piazzare qualche maglietta in più, ma in quella che ingenerosamente viene chiamata 'provincia' si fa della progettualità il pane quotidiano.
Già: il progetto, ancora oggi materia indigesta a qualche tifoso udinese che tutto sommato contento non riesce ad essere. Colgo fior da fiore: tanto li vende tutti, tanto poi caliamo, hai visto che hanno perso, visto che avevo ragione. Godere del momento mai, guai.
Io mi tengo i ventimila che ieri hanno cantato,urlato, gioito, goduto e alla fine applaudito i propri beniamini e gli avversari, ché se lo meritavano: tutti.
E agli altri, 'quelli che' proprio non gli va giù, dico che Samardzic, Lovric, Bijol sono programmazione. Mi spiace, ma va così.
Programmazione iniziata con Gabriele Cioffi, che l'anno scorso ha cambiato filosofia e sorti della squadra segnando quattro reti a Firenze, quattro a Salerno, dando una fisionomia alla squadra che quest'anno Sottil ha definitivamente fatto decollare, anche per l'inserimento di un paio di giocatori mica male. Il termine che coniammo qualche tempo fa, Sottilismo, ormai è proprietà di tutti e quindi noi, che siamo permalosi e cerchiamo l'originalità, ne pensiamo un altro.
E lo facciamo basandosi sulla squadra: è sotto gli occhi di tutti l'efficacia di chi scende in campo dall'inizio come di chi subentra, che non perde tempo ad entrare in partita e determina. Si chiami Samardzic, Arslan o Ehizibue nessuno scende sotto il livello richiesto dal loro allenatore, segno che il gruppo è granitico.
L'elogio della Sottilità. La capacità, rarissima, di motivare venti e più giocatori per ricavarne il massimo e anche di più. E questo assomiglia terribilmente all'Atalanta del recentissimo passato.
Insomma, credo Cioffi sia stato preda della sua più evidente dote, la presunzione; se n'è andato convinto (chissà perché o da chi) che l'Udinese avrebbe smantellato la rosa; attirato, ovviamente, dalle svanziche (citando Vincent Cassel) gialloblu; sorprendendosi, ma va?, del fatto che al suo arrivo Setti gli ha fatto trovare le valigie di quasi tutti i giocatori migliori sulla porta. Con l'Udinese Gabriele filosofeggiava, diceva che gli arbitri fanno parte del gioco, ripeteva simpaticamente 'ho risposto alla tua domanda?'. In particolare era difeso da Pierpaolo Marino e dalla società tutta, cosa che non accade forse oggi quando si attacca ad episodi per giustificare la mancata crescita della sua squadra. Dovuta non tanto a mancanze sue, e lo abbiamo visto in diretta lunedì scorso, quanto a quelle di una rosa decisamente modesta.
Tornando a Udinese-Atalanta, è stato un pomeriggio grande; sarebbe stato grandissimo se allo stadio fossimo stati 'uno in più': Lorenzo Toffolini, con cui chi scrive ha lavorato un ventennio, ha avuto un'idea stronzissima, quella di salutarci tutti. Lorenzo, ma si fa così? Ce ne si va così? No. No. NO! Quando ci vediamo, tanto prima o poi accade, te ne dico quattro. Perché alla nostra età non ci vergognamo se ci si inumidiscono gli occhi, anche dovessimo credere all'altra dimensione. Ciao Lorenzo, ci manchi già un casino.
Ci manchi, e anche tu avresti smoccolato qualche santo sul tiro, a fil di palo, di Tolgay Arslan.
A Udine (e Bergamo), provincia di Anfield.