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Povera Udinese. Poveri noi

di Franco Canciani

Nonostante il mercato da ‘sette’, non ho ancora tenuto fede al mio impegno di stendere peàna di vittoria per i colori bianconeri di cui ormai da anni scriviamo.

Attendo, mi capiranno gli ‘Illuminati’, che anche con le mani l’Udinese possa infilare quella curiosa sfera, colorata come il ‘supertele’ degli anni settanta dall’apposito sponsor tecnico, nel pertugio alto due metri e quarantaquattro centimetri, largo sette e trentadue e delimitato da due montanti ed una traversa.

Chiedo troppo?

Mi obietteranno gli ottimisti, che invidio ed abbraccio, come ieri la squadra abbia a tratti giocato meglio della Roma.

Ecco, la Roma.

Io raramente ho visto giocare con meno equilibrio tattico: tutti davanti, difesa sempre uno contro uno, grande Ibañez ma, con tutto il rispetto, lo voglio vedere contro Ibra e Lukaku, non contro i nostri due punteros depressi.

E poi diciamoci la verità: la gara era incanalata sul pari fin quando Pedro, uomo dal talento superiore alla media in campo e si sapeva, raccoglie il preciso assist del numero 50 bianconero (sic) e lo spedisce alle spalle dell’incolpevole Musso.

Ovvio che per l’Udinese attuale, al netto di sforzi, lotta e tutte queste pagine da libro-quasi-Cuore riempite di dedizione, questa sia stata una mazzata decisiva. Ciò assieme all’arretramento di De Paul a fungere da playmaker bassissimo e all’attesa, fino all’86’, per vedere un 4-2-4 che quantomeno potesse dar l’idea del cambiamento.

Da quell’annoso 3-5-2 che subisce poco e produce nulla.

No: la causa non è il modulo. La causa è l’assoluta sterilità del gioco friulano. In fondo, durante l’intero, infinito anno passato abbiamo scritto fiumi di carta sulla motivazione (la medesima) per la quale l’Udinese gravitava in zone poco nobili, anziché contendere la piccola Europa alle squadre del lato A in classifica, rango di merito almeno a detta degli Illuminati di cui sopra. Mi pare che il reparto attaccanti non sia variato: Lasagna, Teo, Nesto, Okaka e compagnia.

Quindi, lasciando da parte il post-quarantena, l’Udinese è la squadra europea che finalizza meno le occasioni da rete create. Non è un momento un periodo una parte di stagione; non è casuale, né pura sfortuna (anche se ieri sera la sorte non è stata amica dei bianchineri): è una tara strutturale della squadra. Ed è per questo, ricollegandomi all’inizio di questo pezzo, che attendo per prostrarmi alle osservazioni degli Illuminati (terza citazione, a Dan Brown fischieranno le orecchie).

Sono preoccupato, questo potrebbe essere l’anno buono. Anche se, ammetto, gente come Pereyra, Molina e Ouwejan mi sembra preparata, ed anche il talento inespresso Forestieri è decisamente superiore alla media di una squadra che, di talento, pare annosamente lacunosa. Sarò pessimista, chissà.

Non voglio arrivare al tognazzian-bartaliano ‘gli è tutto sbagliato’; non voglio però nemmeno sentire frasi che già fanno capolino dalle sale stampa: dobbiamo continuare a lavorare, ripartire da quanto di buono si è visto, non possiamo che migliorare eccetera. Ci vuole una terapia d’urto, intesa come qualche nuovo artifizio in campo che permetta di concretizzare una mole di gioco che stanca più l’Udinese che l’avversaria (che dovrebbe subirla).

Ho visto che il palcoscenico sociale ha permesso a qualche se-considerante comico/profeta di prendersela ad alzo zero con Gotti. L’ho sempre detto: questi sono i momenti in cui è facile coagulare attorno a sé schiere di ‘tifosi’ adoranti e invocanti nuove presidenze al posto degli attuali proprietari. Allo stato attuale ritengo indifendibile squadra, staff, società che già ieri dichiarava il mercato bell’e fatto; osservo solamente, non sono un genio ma ho buona memoria, una certa assonanza fra i franchi tiratori del trainer adriese e quelli che cercavano di abbattere, radunando folle traboccanti, i vari Guidolin, Strama, Colantuono eccetera. Se da otto anni non si vede giocare un calcio ammissibile la colpa è certamente di chi dirige la squadra, ma la continuità non è certamente la dote principale della panchina friulana. Quindi? Quindi niente. Mi preparo ad un altro anno ‘così’, ché non credo si possano riproporre i tempi delle sconfitte consecutive di Guidolin-II con qualificazione finale ai preliminari di Champions. Continuerò a seguire l’Udinese, a scriverne per quanto potrò, ma entusiasmarmici sarà impresa difficile.

E di certo non dimenticherò che, in una sera di fine settembre, il glorioso Friuli è stato devastato da una squadra volonterosa ma che nelle due partite lontane da Rizzi ha preso sette reti, e potevano essere undici. Ed alla quale l’altrettanto gloriosa Udinese calcio essepià non ha fatto nemmeno il solletico.

Ultimi, anche il Crotone ha fatto meglio dell’Udinese con gli stessi punti acquisiti. Dopo la pausa-nazionali si riprende a Parma, dove Liverani ha messo assieme i primi tre punti contro il Verona, capitalizzando una rete dello sloveno Kurtic dopo trenta secondi di gioco. E intanto Benevento a sei punti, Spezia a tre e via dicendo.

Povera Udinese. Poveri noi, che forse ci meriteremmo di parlare di cose meno deprimenti. Pare torni Pussetto, Matos abbia imboccato l’autostrada per la Toscana e dalla Francia dovrebbe arrivare un centrocampista ‘alla Fofana’, da mettere in mezzo al campo. Grazie alla società: ma purtroppo il mio vecchio cuore ammalato di pallone si scalda, ormai, per qualcosa di più che Makengo e la riconferma del bravo Mandragora.

Spero lassù qualcuno mi capirà.


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