La rivoluzione è finita!
“La rivoluzione non è un pranzo di gala”, è una regola immortale quanto immorale, ma sempre attuale e pragmatica. Non esistono i rivoluzionari moderati, sono tutti dei sanguinari. Udine però fa eccezione. Una rivoluzione, se rallentata, porta a risultati mediocri o fallisce; se fatta in fretta, sparge sangue. Traslando questo concetto in ambito calcistico, l’Udinese completa una rivoluzione che dura da due anni (troppi). La cessione di Thereau rappresenta il canto del cigno di un modo di fare calcio contrario al DNA che ha portato vittorie e spettacolo nel nostro recente passato, nella gestione Pozzo.
La rivoluzione andava fatta già dopo l’ultimo anno di Guidolin, quando si pensava che un modesto Maicosuel o un timido Torje potessero sostituire El Nino Maravilla, al secondo Alexis Sanchez. Invece di dare la colpa a chi operava sul mercato, si decise di addossare le responsabilità a Guidolin. Arrivò Stramaccioni e fece peggio. Si disse che la colpa era di un allenatore troppo giovane ed inesperto. Si virò su Colantuono, che aveva dalla sua risultati ottenuti a Bergamo e anni di esperienza. Dopo un discreto girone di andata, il ritorno fu addirittura peggiore delle due stagioni precedenti. In queste tre stagioni solo due fattori mostravano continuità: l’età media in campo aumentava sempre di più e il gioco era sempre peggiore.
Ed ecco la prima, timida, timidissima rivoluzione: stagione 2016/2017. Via Brkic, Domizzi, Fernandes, Iturra, Piris, Verre, Zielinski e Nico Lopez, Di Natale che dava l’addio e dentro Fofana, De Paul, Jankto, Kums e Peneranda. In panchina viene chiamato un allenatore che punta deciso sul gruppo e sulla fase difensiva, Iachini. Ma a Udine il gruppo pare non essere più solido come ai tempi di Spalletti, Marino o Guidolin. Passano poche domeniche e il marchigiano viene allontanato. Arriva Delneri e succede un miracolo, il generale in pensione Thereau torna abile ed arruolato e segna diversi gol. L’andata finisce bene, in ripresa di gioco e punti, ma il ritorno è mediocre, non certo per colpa dell’allenatore. Una seria A i cui verdetti erano praticamente già definiti alla fine dell’andata non dà più stimoli a chi non ha fame di vittorie. Si chiude comunque con vari punti in più rispetto all’anno precedente e vari dati numerici denotano un netto miglioramento.
Ma non basta. Come ho detto, una rivoluzione fa sempre delle vittime. Visto che quella dell’Udinese è molto lenta, a cadere sono i punti, i risultati, la bellezza estetica del gioco. Invece dovevano cadere i contratti dei giocatori… La mancanza di coraggio, la scelta di posticipare un cambiamento che era necessario già nell’estate 2014, porta a un ritardo dell’anno zero. Non solo per il gioco da adottarsi, ma anche per la mentalità e la cultura di squadra. Le componenti sono in relazione diretta. E’ davvero inutile parlare di un modulo piuttosto che di un altro, se manca la mentalità di abnegazione, di lavoro, di sacrificio per la squadra. Una frase di Delneri è stata emblematica, peccato non essere presente e sentirla. La ho letta riportata dai giornali: “Prima supportavamo Thereau, dopo lo sopportavamo.” C’era bisogno di aggiungere altro? Beppe Iachini ha detto a più riprese che non gli hanno dato tempo; penso sia vero. Nelle prime partite aveva messo De Paul dietro le punte e l’argentino aveva dimostrato di meritare la maglia numero 10: ottime giocate, assist, dribbling e gioco veloce. Al posto di uno spento Thereau aveva inserito un ben più voglioso Perica autore guarda caso di due gol in poche sfide di campionato. L’arrivo di Delneri e l’assunzione e leader in campo del francese, aveva allontanato dalla porta i due promettenti giocatori. Ora, finalmente, si potrà riprendere quel percorso con un Lasagna in più.
Perché i numeri del mercato dicono che la rivoluzione è stata ultimata quest’anno con una sonora spallata. Fuori Felipe (ahimè!) Thereau, Zapata, Heurteaux, Gabriel Silva, Badu, Kone, Kums, Lodi e Wague sostituiti da Lasagna, Pezzella, Nuytinkc, Barak e Bajic. Via il Santo Karnezis e dentro il furlan Scuffet. Quest’ultimo è l’emblema di una rivoluzione mancata… troppo tempo tenuto in panchina. E’ normale che questo mini le certezze di un portiere così giovane. Ora sta a lui e al compagno di reparto Bizarri trovare il giusto equilibrio tra non dare troppo ascolto alle critiche esterne e migliorarsi con senso autocritico.
Quella dell’Udinese è una rivoluzione che è durata due anni, lunghissima per il mondo del calcio, dove si è cercato di incassare fino all’ultimo euro di un magazzino pesante. Per non mettere a perdita il magazzino si è sacrificati la crescita dei giovani con potenziale e il gioco. Con una squadra più sbarazzina e meno lenta, sarebbero stati di più i soldi persi nello svendere certi giocatori o di più quelli fatti in plusvalenze che si sono derogate nel tempo? Propendo per la seconda ipotesi. Sono uno di quelli che, magari a torto, vede nella cessione di Zapata e Thereau un ritorno alla meritocrazia, o rendi e fai squadra o vai. Del resto, difficile permettere a un francese discreto e nulla più di comportarsi come o peggio di un campione vero, Totò Di Natale. Le eccezioni servono per confermare le regole, non per eluderle.
Un’ultima riflessione a corollario del mio calcio-pensiero (e lo dico con tutta l’umiltà del mondo). Quando l’anno scorso dicevo “alibi zero” intendevo proprio questo. Le rivoluzioni (quando necessarie) vanno fatte, altrimenti non ci sono scusanti. Siamo arivati, invece, allo stadio del "zero alibi" con un anno di ritardo. E’ ora che l’Udinese dovrà iniziare a programmare, cioè fare cambiamenti progressivi e graduali. Ho anticipato i tempi nel chiedere, nel togliere alibi che una rosa eterogenea poteva fisiologicamente avere. Con la cessione di Thereau gli alibi sono veramente a zero. Ora inizierò a guardare la squadra e la società sotto un altro punto di vista, quello della crescita. Ci saranno passi falsi, ci furono anche il primo anno di Zaccheroni, figurarsi… ma ora bisogna puntare sulla crescita, quindi sul lavoro, quindi sull’organizzazione, quindi sulla programmazione. E sgarfare!