La mentalità vincente
All’Udinese forse manca un attaccante, forse un altro regista, molto probabilmente qualche italiano in più. Ma quello che manca sicuramente è una mentalità vincente. Inutile annoiare chi legge con citazioni di psicologi dell’organizzazione, antropologhe prestate alle multinazionali o consulenti aziendali che si rifanno alla psicologia dell’infanzia per la creazione del senso; ma sta di fatto che in ogni azienda la mentalità la crea la parte dirigente. E’ difficile pensare che una squadra determini la mentalità di un direttore sportivo o di un presidente; è più facile l’inverso.
Già da tempo avevo intenzione di scrivere un editoriale su Colantuono, sul lucchetto con il quale è stato chiuso lo spogliatoio ai non addetti. Su un ambiente che si sottovaluta, come il Friuli è (purtroppo) abituato a fare. Questo è il problema strisciante, profondo e sotterraneo della squadra friulana: l’autostima derivante da una mentalità da sconfitti in partenza. Guidolin professava una sana paura, nonché la filosofia “stin calmus” dopo ogni vittoria. Erroneamente veniva scambiata con mentalità di modestia, mentre era umiltà e grinta. La sana paura era quella che doveva far affrontare ogni avversario come fosse il più forte, senza sopravvalutarsi per le vittorie (passate). Stin Calmus era diventato un motto, un mito organizzativo. Si puntava a una linearità temporale, a non fare il passo più lungo della gamba. Era pragmatismo, che forse mal si coniugava con i sogni di gloria che nascevano come funghi nei boschi dopo ogni vittoria, ma che certamente teneva ben ancorati i piedi sulla terra ferma.
Oggi invece assistiamo all’anarchia culturale dell’Udinese. Col passare del tempo, ogni mentalità vincente cessa di funzionare, deve evolversi o muore. Ma a Udine questo pare non succedere (in realtà non succede mai, da nessuna parte, il cambiamento non è mai soft come vorrebbero le teorie economiche o politiche). Semplicemente è venuto meno l’equilibrio fra premi (trasferimenti a società più prestigiose, che pagano meglio) e punizioni (la messa fuori rosa per scelta tecnica o il ritiro punitivo). Se a un sistema di premi e punizioni togli le punizioni, rimane un sistema viziato, spesso irresponsabile. Avete presente le sconfitte dell’anno scorso contro tutte le ultime in classifica?
E questa anarchia culturale è dovuta in buona parte dai dirigenti: la riprova la abbiamo ogni volta che rilasciano interviste di dubbia opportunità (voglio essere moderato…). Sia prima della partita contro la Roma che ieri, alla vigilia del match contro il Napoli, ecco che si spera, o si meterebbe la firma, per un bel pareggio. Avete mai sentito dirigenti di un’azienda affermare “speriamo di chiudere in pareggio un ordine importante”? Il Paron Pozzo ha pronunciato frasi ben diverse, più avvezze al suo modo di intendere. Ma paradossalmente parrebbe in minoranza...
Immaginatevi di essere un allenatore che entra nello spogliatoio e professa grinta, occhi della tigre, agonismo, e poi i massimi esponenti della società se ne escono con uscite del genere. Come reagireste voi? Forse, quel lucchetto sullo spogliatoio, era un messaggio ben chiaro. Viene da chiedersi se l’Udinese (intesa come società) abbia un politica di comunicazione interna ed esterna. In tutte le aziende c’è: quello che si può dire e quello che non si può dire. Per esempio, si potrebbe evitare di parlare (esternamente) di mercato se non nei periodi in cui le compravendite sono possibili. Basterebbe che dipendenti e tesserati rispondessero “Non commento argomenti di mercato.” Nulla di difficile… Cosa volete fare domenica? “Vogliamo vincere!” Poi magari si perde, ma se Zaccheroni, Spalletti, Marino e Guidolin avessero ragionato così, ora l’Udinese non sarebbe in serie A, e la società non avrebbe guadagnato un euro in questi ultimi anni.
Tanto più che, ogni tanto, ti capita anche di vincere allo Juventus Stadium…