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Inter-Udinese, cronaca di una serata da dimenticare: il rigorino, la paura dei bianconeri e la partita con il Sassuolo da vincere a tutti i costi

di Stefano Pontoni

Inter-Udinese, che disastro. Sognavamo (da tifosi) di poter sbancare ancora una volta San Siro e invece ne è uscita una prestazione per certi versi preoccupante.

Che i nerazzurri siano la squadra più forte del nostro campionato non vi è dubbio alcuno ma l'atteggiamento dei bianconeri è stato quello delle giornate peggiori. Approccio timido, rinunciatario, impaurito, da vittima sacrificale. Troppo facile, allora, per Lautaro e compagni chiudere in meno di un tempo la pratica.

Dell'Udinese sbarazzina vista contro il Milan poco o nulla. Zero coraggio, zero intraprendenza nonostante non avessimo nulla da perdere. Una mezz'ora passata in trincea (due occasioni sprecate da Pereyra), fino al rigorino che ha dato il via alle danze neroazzurre. Ecco, prima di parlare dei nostri demeriti, due paroline su questo episodio vanno detto. Condivido e di consguenza riprendo il pensiero mandatomi in nottata da un amico arbitro, fischietto assai competente in materia avendo ricoperto vari ruoli anche da ossvervatore per il CAN. Concodriamo che ieri Di Bello ha arbitrato molto bene, ha fischiato solo 15 falli, facendo giocare molto, tenendo una soglia d'intervento molto alta. Anche sul calcio di rigore è stato coerente con il suo metro di giudizio, non fischiando e lasciando proseguire. E allora: se tutti quei contatti fuori dall'area di rigore sono stati trascurati, perché il VAR non ne ha tenuto conto nell'unico contatto in area di rigore? A chi dice "il contatto c'è", rispondiamo che nel regolamento non sta scritto da nessuna parte "fallo di contatto", anche perché il calcio è uno sport di contatto, a meno di non volerlo trasformare in altra cosa. Non è si è voluto vedere, poi, il movimento anomalo delle gambe di Lautaro per capire che, fuori dall'area di rigore, non sarebbe mai caduto. Il calcio di rigore è stato determinante, punto.

Detto questo, il non gioco, voluto da Cioffi per provare a limitare anche gli avversari (superiori in tutto) si è rivelata ancora una volta una tattica fallimentare. Il poker ne è la diretta conseguenza, come era già accaduto in esterna contro il Napoli.

Passivo netto, più che meritato per quello che (non) si è visto in campo, con la sensazione che, se l'Inter avesse continuato a premere sull'acceleratore anche nella ripresa, il divario sarebbe stato ancora più ampio. 

Troppe le cose che non vanno. Senza Bijol la difesa fa una fatica impressionante. Lo sloveno è il vero leader là dietro, tolto lui il reparto collassa su se stesso. Non è un caso che da due partite anche Perez sia gravemente insufficiente. Perdita gravissima per l'Udinese quella di Jaka.

A centrocampo deludono tutti. Pereyra non è in condizione e si vede. Il Tucu cestina le uniche due occasioni capitateci sullo 0-0, poi perde il pallone dal quale scaturisce il terzo gol dell'Inter, che affossa definitivamente l'Udinese. Samardzic gironzola e dopo una ventina di minuti, quando la pressione nerazzurra sale, sparisce definitivamente dalla contesa. Male anche Walace e Payero, schiacciati dall'aggressività dei centrocampisti avversari. Sugli esterni troppo distratto Zemura, poco meglio va Ebosele. In attacco il povero Lucca è abbandonato a se stesso. Un po' meglio fanno i subentrati Lovric e Thauvin quando la partita però non ha ormai più nulla da dire. 

Insomma, partita da archiviare in fretta. Meglio pensare al Sassuolo. Domenica prossima la vittoria è un obbligo, per la classifica in primis, per un ambiente che settimana dopo settimana è sempre più preoccupato. La paura di retrocedere inizia a serpeggiare, inutile nasconderlo. Per scacciare via questi brutti pensieri servono le vittorie. Il tempo dei buoni propositi è finito, c'è bisogno di punti, punti e ancora punti per allontanarsi dalla zona rossa, per mettersi in sicurezza.

La squadra ha del potenziale (i risultati dell'ultimo periodo lo dimostrano) ma perde subito fiducia e coraggio. Solo un bel filotto potrebbe portare quella consapevolezza necessaria per fare il salto di qualità che si va da mesi cercando. Di mezzo il mercato. La società qualcosa a gennaio dovrà fare, soprattutto in certi ruoli dove in questi mesi si è capito che si continuare a fare parecchia fatica. 


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