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Chi ci sta sul carro (quarta parte)

di Paolo Pascolo

Dopo lo sventato ammutinamento la depressione s'è diffusa sul carretto. La gente si pensava di venir qua e fare quello che voleva: ubriacarsi, far cesso e sfoggiare le più ardite blasfemie, e invece... niente. O meglio, proprio niente niente no, un po' sì, ma con moderazione. Come si sa, “posto che vai, usanza che trovi” e questo carretto, come qualsiasi altro luogo sulla terra, ammenoché non sia il salotto di casa vostra (ove potete anche espletare i vostri bisogni per quanto mi riguarda), ha delle regole che vanno rispettate. Ed ora che siete saliti sul carretto mica potete scendere quando vi pare... eh, sarebbe troppo facile: si sale su, si fa i porci comodi propri, e poi ve la filate. No, no.
Così mente tutti sono assolti nei loro nubrosi pensieri si inizia a rallentare... l'indicatore di direzione lamapeggia a destra ed il carretto imbocca lo svincolo. “Ma come? non siamo mica arrivati ancora?”. Tranquilli, tranquilli, non siamo ancora arrivati, ma stiamo solo facendo una tappa. Pensavate che il Mister fosse un'insensibile despota, ma in realtà aveva in serbo una sorpresina: un'osteria carina carina, dove si spende poco e si mangia bene, perché un vero leader sa quando concedere e mostrarsi generoso (...).

Vabbè, il buon umore è tornato tra la truppa ed ora gli unici a brontolare sono gli stomaci che hanno già attivato i succhi gastrici in attesa della scorpacciata. Mentre il carretto sta ancora facendo manovra per parcheggiare, qualcuno si affanna per essere il primo a scendere. Inizialmente non riconosciamo il personaggio, ma il cappello vecchio stile, e le movenze legate ci sono subito familiari (no, non è il Baffo Moretti). Quel particolare dondolare che sembra necessario al moto, quell'incrociare le mani dietro la schiena e l'inconfondibile odore di sottobosco di chi si sveglia la mattina presto per andare a funghi. E' il Vecjut. Tutti lo conoscono, ma lui non riconosce nessuno, deve essere copla di quel suo amico tedesco, l'Alzheimer. La sua età rimane un mistero, alcuni dicono che sia un panchinaro della mitica Udinese del '55, quella che sfiorò lo scudetto arrivando seconda, altri giurano che è il figlio illegittimo del difensore Gino Bellotto, storica bandiera Bianconera che ha militato per 17 stagioni tra le Zebrette Friulane. La storia più incredibile è quella che lo vuole alpino durante la campagna di Russia e, divenuto disertore a causa di una bella ragazza di Kiev, giocatore di calcio nelle file dello Start, la selezione Ucraina che batté gli ufficiali nazisti nella famosa partita della morte (quella che poi ispirò il film “Fuga per la vittoria”). Riuscito a scappare alla conseguente rappresaglia nascosto in una bottiglia di Vodka, si ritrovò su una nave che lo scaricò in Argentina. Qui chiese un passaggio ad un ragazzotto in motocicletta, e questi lo scorrazzò in lungo e in largo per il Sud America. Dopo l'iniziale ebbrezza per quei viaggi coi capelli al vento, ben presto si stufò di prendersi tutta la cenere del sigaro del suo autista e decise di scendere. Attratto dalle bellezze paesaggistiche e da una grande statua che gli ricordava un suo amico Bepi Pecjot, si fermò a Rio De Janeiro dove lavorò nell'industria dell'intrattenimento come talent-scout per ballerine di Samba. Riuscì a rientrare in Friuli solo nel 1983, scroccando un passaggio ad un giovanotto simpatico che veniva a Udine per un viaggio di lavoro... (continua)


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