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Cambiare testa

di Giacomo Treppo

L’Udinese torna da Napoli con tanti complimenti e zero punti. L’ottimismo nel vedere una squadra che pressa alta, che “costringe” il Napoli al di sotto della sua media di tiri in porta, che per l’ennesima volta non agguanta un risultato positivo per via di una traversa (sempre Widmer, come contro il Genoa); tutti questi buoni segnali per l’avvenire si scontrano contro il giusto sconforto per una posizione in classifica deficitaria e pericolosa.

L’Udinese tira in porta più dell’Inter, ma segna meno. Mancano attaccanti? Zapata ha segnato 3 gol in 6 partite, poi patatrac! Thereau ha insaccato tre volte finora, ma paga una forma non invidiabile che si protrae per via di mancanza di turnover. Di Natale pare incostante, a volte insofferente. Perica e Aguirre mostrano mezzi e voglia, ma per realizzare in serie A devi avere altro. Aguirre ieri ha corso e mosso palla, ma davanti alla porta ha sparato sulla curva del San Paolo per l’ennesima volta; Perica non è da meglio. Cresceranno, Colantuono dà sempre più minutaggio all’uno o all’altro, ma non è con loro che risolvi il problema dell’attacco poco prolifico.

La squadra gioca bene fino alla trequarti, poi sparisce. Risulta evanescente, poco cattiva sotto porta. E’ lì che bisogna cambiare. Se a Napoli ha mostrato una difesa e un centrocampo nettamente migliorati rispetto a un mese fa, se ha dato continuità nella prestazione offerta, molto è stato vanificato dai tiri contro le gambe dei difensori partenopei. Occorre cambiare testa: se non lo sa fare la società, è giusto che l’allenatore e il suo staff lo facciano in privato, all’interno di quello spogliatoio lucchettato. Il reparto offensivo dell’Udinese si mira allo specchio e perde tempo, vive di allori passati, di potenzialità inespresse, spesso si rileva vanitoso. Prendiamo per esempio la prestazione di Fernande, di ieri sera. Il portoghese cercava sempre il colpo ad effetto, il passaggio decisivo, ma così facendo spesso perdeva palla, non permetteva alla squadra di salire, di rifiatare. Costringeva Thereau a correre a vuoto. Ed il francese, nel secondo tempo, non ne aveva più. Con un po’ più di umiltà saremmo riusciti ad alzare il baricentro, a conservare energie e, perché no, conquistare qualche fallo in più. La difesa del Napoli è piuttosto fallosa e i nostri difensori possono diventare degli attaccanti ad hoc, all’occorrenza.

Tutta la squadra deve capire che ora si lotta per la salvezza, e lottare per la salvezza significa anteporre la squadra alla propria voglia di mettersi in mostra. Il passato, le qualificazioni in Europa, i complimenti per il bel gioco o gli applausi di Cesena Palermo e Cagliari (l’anno di Guidolin-Totò-Sanchez) sono lontani, non torneranno. E’ necessario smettere di guardare al futuro (individuale) con ottimismo, e filtrare il futuro di squadra con le basi che si pongono in campo ed in allenamento. Come sempre, quando i risultati non arrivano, bisogna compattarsi e lottare di più.

Meno anarchia, meno troni e più sudore. Ennesimo esempio: i calci d’angolo o le punizioni di seconda diventano più pericolosi quando li batte Lodi, rispetto a quelli di Di Natale. Chi gioca là davanti non può vivere di allori e le decisioni devono essere funzionali alla vittoria, non allo status quo. Mi verrebbe da dire che la prima regola per compattare la squadra sarebbe smettere di parlare di mercato futuro (si creano alibi, aspettative diverse da quelle che servono per lottare e, non ultimo, problemi di spogliatoio), ma purtroppo a Udine sono tre anni almeno che manca la classe dirigente.

Ora l’Udinese ha due settimane per lavorare sul reparto d’attacco, per provare schemi (fa bene Colantuono a provarli a porte chiuse, altrimenti a cosa serve?), per trovare la forma e la cattiveria giusta. Contro la Sampdoria è una partita senza appello, come capita quando si lotta per non retrocedere. Tutto ciò seminato in questo ultimo periodo, deve per forza essere raccolto. E’ ora di mollare gli alberghi a cinque stelle e di tornare nelle baracche, sudarsi la pagnotta e mettere il gruppo davanti a se stessi. Anche chi è stato (o è tutt'ora) un campione...


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