Atalanta-Udinese, in 8 anni è cambiato tutto: perché?
8 maggio 2016, Atalanta-Udinese 1 a 1. I bianconeri conquistano a Bergamo il punto che consente loro l'aritmetica permanenza in A. Partita (ve la ricordate?) durata solo un tempo con i gol di Zapata e il pareggio su calcio di rigore di capitan Bellini, che proprio in quel giorno lasciava il calcio giocato a 36 anni dopo una vita in nerazzurro.
Era la Dea di Edy Reya, 13esima in campionato, che senza stra fare arrivava alla partita con una tranquilla salvezza in tasca già da settimane. Per l'Udinese, invece, l'epilogo di una brutta stagione (la prima di una lunga serie), caratterizzata da 19 sconfitte, con Gigi De Canio a condurre in porto la nave dopo l'esonero di Colantuono. Un'annata che ricordiamo oggi soltanto per l'addio al calcio di Totò Di Natale, in un finale triste e solitario, e di altre due bandiere Domizzi e Pasquale. Tra l'altro, bianconeri sconfitti anche all'ultima da un Carpi già fortunatamente retrocesso.
8 anni dopo, per la prima volta nella sua storia, l'Atalanta vince l'Europa League dominando a Dublino il Bayer Leverkusen, imbattibile e imbattuto da 51 partite a questa parte. L'Udinese, al contrario, si giocherà il tutto per tutto per salvare la categoria domenica contro il Frosinone.
8 anni anni e scelte diverse hanno cambiato completamente la storia dei due club. Tre terzi posti, due finali di Coppa Italia, i quarti di Champions League e il trionfo in Europa League che mancava in Italia da un quarto di secolo sono il ricco bottino degli orobici. Per i friulani, a parte la salvezza targata Gotti e il sussulto con Sottil, un rendimento da metà bassa della classifica, troppi cambi in panchina e pochi giocatori che hanno saputo lasciare veramente il segno.
Cos'è successo? Eppure l'Atalanta di oggi eravamo noi, dirà qualcuno ritirando fuori per l'ennesima volta i più lieti ricordi di un passato che giorno dopo giorno si allontana sempre di più. Restiamo ancora oggi romanticamente aggrappati al tridente Amoroso-Poggi-Bierhoff, all'impresa di Leverkusen di Margiotta, all'Udinese di Quagliarella, a Guidolin-Di Natale-Sanchez. Questo perché nell'ultimo decennio di imprese memorabili, onestamente, ce ne sono state davvero poche.
La salvezza e i conti in regola sono il nostro scudetto, abbiamo sempre ribadito con fierezza. A Bergamo la famiglia Percassi ha dimostrato che anche tenendo il bilancio in ordine si può vincere. Questione di progetto, sportivo in primis, alle spalle. L'ascesa della Dea, fortemente voluta dalla dirigenza orobica, è corrisposta ad una costante decrescita bianconera. Vanno capiti i motivi, le differenze.
Partiamo delle plusvalenze. Nell'era Percassi gli orobici hanno guadagnato complessivamente 504 milioni di euro grazie alle cessioni. La più ricca è quella di Hojlund al Manchester United che ha generato un surplus di 53,2 milioni di euro. Un bilancio sempre in attivo ottenuto grazie ai risultati sportivi raggiunti e alla cessione dei giovani valorizzati da Gasperini. A Udine, anche in stagioni non memorabili, sono arrivate lo stesso cessioni altrettanto illustri. Le più importanti solo degli ultimi anni: De Paul e Molina ceduti per 35 milioni e 20 milioni all'Atletico Madrid, Meret per 26 milioni al Napoli, Udogie per 20 milioni al Tottenham.
Le strutture. Per lo stadio di Bergamo e il Centro Bortolotti di Zingonia sono stati investiti oltre ottanta milioni di euro. Cifra a cui vanno aggiunti gli affitti versati negli anni per giocare al Comunale e che ha permesso oggi alla società nerazzurra di possedere sia lo stadio che il centro di allenamento. A Udine possiamo contare su un autentico gioiello come il Friuli, su un centro all'avanguardia come il Brusechi. In B rischierebbero di essere una cattedrale nel deserto. Un'eventuale retrocessione limiterebbe drasticamente il potenziale di un impianto che meriterebbe ben altri contesti. Anche per questo la salvezza è fondamentale.
La squadra. Ogni anno sono arrivate cessioni importanti ma la squadra non è mai stata smantellata, anzi si è reinvestito per continuare sempre a migliorarla (20 milioni sono stati versati soltanto nelle casse dell'Udinese per acquistare Musso nell'estate del 2021). Comprare bene per vendere ancora meglio, questo il mantra della dirigenza neroazzurra. A Udine l'ingranaggio si è inceppato: tanti arrivi, alcuni buoni e altri meno, con una squadra che soprattutto quest'anno ha fatto fatica davvero ad esprimere il proprio potenziale e trovare una continuità di prestazioni. Servirà sicuramente metterci mano a giugno, puntallando i reparti dove si è fatto maggiore difficoltà, puntando di nuovo su uno zoccolo duro.
L'allenatore a fare la differenza. A Bergamo da 8 anni ci si affida allo stesso allenatore, Gianpiero Gasperini. Un maestro di calcio, che invece di aspettare un’altra chiamata da una grande, la grande squadra se l’è costruita da solo, passo dopo passo, giorno dopo giorno, risultato dopo risultato. Anima e ideatore di una squadra che ha fatto il salto in un'altra dimensione, lasciando la provincia per arrivare in Europa. L'Atalanta si è affidata totalmente a lui. Dopo Guidolin l'Udinese invece ha fatto fatica a trovare un nuovo condottiero all'altezza. 15 i cambi di allenatore registrati dopo l'addio del tecnico di Castelfranco, ultimo a fare dell'Udinese una squadra competitiva ad altissimi livelli. Tre soltanto in questa stagione, iniziata con Sottil, proseguita con Cioffi fino all'arrivo di Cannavaro. Trovare la persona giusta (può essere anche il campione del mondo qualora riuscisse nel compito di garantire la permanenza in A) per aprire un nuovo ciclo è indispensabile.
Non è una questione di bacino d'utenza. La differenza con Udine è minima in termini di bacino. Bergamo ha 120 mila abitanti, la provincia intera 1 milione e 100 mila. Non è vero che con questi numeri non si può primeggiare, che per forza tocca restare confinati ai margini del calcio che conta. La passione della tifoseria friulana (la scorsa domenica è stata l'ennesima dimostrazione qualora servisse) è rimasta sempre ardente. Ripartire assieme alla gente, che ama questi colori e che conosce il valore del lavoro, del sacrificio, è la prima cosa da fare.
Lecito oggi provare un pizzico di invidia, allora, per l'Atalanta ma va detto che questo risultato se lo merita tutto.
Vada come vada invece allo Stirpe.
Da lunedì servirà in ogni caso tirare una linea netta, capire dove si è sbagliato e dove si può e si deve migliorare. Tornare a focalizzarsi sul progetto Udinese, scegliere le persone giuste anche a livello dirigenziale per la ricostruzione, puntare su un allenatore con cui si può aprire un ciclo almeno triennale, su giocatori di valore che hanno interesse a vestire la maglia bianconera. Le competenze e le possibilità la famiglia Pozzo le ha, perché altrimenti non stai 30 anni in Serie A e non raggiungi certi risultati ma serve giustamente rinnovare il progetto e le ambizioni, capire dove e come si vuole arrivare. Questo insieme al territorio, alla gente.
Ripartire dalle fondamenta per tornare quelli che eravamo, per tornare noi a fare invidia all'Italia intera, per tornare ad essere veramente l'Udinese.