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Il Carnera è anche mio. Vi prego: ridatemelo.​

di Franco Canciani

Il Carnera è anche mio. Vi prego: ridatemelo.

So tutto, non serve me lo ribadiate: il palazzetto dello sport intitolato a Primo Carnera risale all’alba degli anni settanta, ha avuto ultimamente una manutenzione proporzionale all’uso che se n'è fatto, e oggi la ristrutturazione sembra implicare più tempo e denaro del previsto.

So anche che il “Primo Cittadino” del capoluogo del Friuli si sta impegnando, anche pubblicamente, a garantire la riapertura per l’inizio del prossimo anno. Ma la foto che fa da cappello a questo piccolo canto, presa oggi pomeriggio, testimonia che poco si sta muovendo.

Non so bene se ciò significhi che tutto è quasi pronto e mancano i collaudi, ma le erbacce e gli sterpi che sono cresciuti attorno all’impianto mi fanno piangere il cuore.

Sì.

Perché non sono così anziano da aver goduto delle prestazioni dell’elefantiacamente elegante Big Joe Allen al vecchio Marangoni (Benedetti solo dal 1981), ma abbastanza carico di lustri da ricordare le varie epopee che si sono susseguite nel glorioso e bellissimo impianto, solo successivamente affiancato dallo Stadio Friuli (lo so, Dacia Bunker ma come detto gli anni sulle spalle parlano per me).

Ne ho parlato, di quegli anni, legandoli alle coppie d’americani a stelle, strisce e sogni (nostri). Sogni di ragazzino che vedeva quei giganti esotici, assieme a pattuglie di italiani stretti in aderenti canotte e cortissimi calzoncini, incarnare il sogno sportivo della palla che vìola il cotone avversario, cortissimo “alla plava” e non lungo all’americana. 

Erano anni, quelli, in cui l’affluenza al Carnera era difficilmente quantificabile; gente ovunque, arrampicata sui finestroni, anche quando (anno Mobiam) si giocava di mercoledì pomeriggio contro il Novara Basket, griffato Manner Wafer e soprattutto con un’improbabile tenuta rosa confetto. Era A2, sì, ma la passione non conosce categoria. La passione friulana per la pallalcesto no di sicuro. E le sfide contro la Mecap Vigevano, la Vidal di Mestre, la Toseroni Roma (Stella Azzurra, non Virtus), la Postalmobili di Pordenone, quando in regione regnavano Gorizia (la Pagnossin di Premier) e Trieste, sono e restano impresse nella nostra memoria.

E con mio nonno ci accomodavamo sugli scarni spalti, altroché seggioline! L’aria densa di sovrappopolazione, di sigarette amare, di parole poco oxfordiane pensate, masticate, infine urlate in occasione di errori che, al popolo del Carnera (gran parte del quale non ha mai toccato una palla a spicchi, ma ne è appassionato come alla più bella delle miss) parevano incredibili. 

E il derby contro la Segafredo di Biaggi e Sfiligoi, anni, '80, seguito in mezzo alla curva ospite (sconfitta...) rischiando schiaffi ad ogni realizzazione casalinga. 

E quante altre partite, molte bellissime altre amare alla massima potenza... L'annata speciale con la Gedeco 5-3-5 di Lazi Toth e Lorenzo Bettarini; King ed Ebeling che con la casacca di Ferrara ce ne fanno sessanta; il santarcangiolese Giorgio Ottaviani, anno 1986, che ha fra le mani e sotto la riccioluta capigliatura i due liberi della vittoria contro la Tracer Milano di Meneghin. Zero su due, contropiede delle scarpette rosse, fallo su Bob McAdoo e Doo, Doo, persa di un punto.

E il custode, il mitico Toni, che faceva del suo meglio per tenere noi ragazzini lontani dagli “idoli” del momento, cui volevamo carpire una parola o un sorriso (niente selfie, all'epoca); piccolo e deciso, urlava di andarcene, ma quel sorriso e il casuale girare le spalle ci permetteva di intrufolarci dalla orticina per rubare due minuti di allenamento... E James Percival Hardy che ci salutava col classico “Hey guys” e noi ci sentivamo grandi, e le lezioni di basket e vita di Praja, “se tu no volia di fermare dopo alenamento e tirare, tirare, tirare tu puoi stare a casa con mamina tua che dice che tu bravo, ma tu mai diventa giocatore di palacanestro”.

Troppe congiunzioni, troppi ricordi come quelli evocati da una canzone di Vecchioni attorno all'ippodromo di Milano trasposti qui, all'ombra (oggi) dell'arco del Friuli. Dove il basket è una piccola, grande religione. Sì, perché all'ombra dell'obelisco e del monumento di Basaldella, molto prima che si erigessero recinti, si consumarono fugaci momenti di adolescenziale, semiplatonico amore.

Grande rispetto, un immenso grazie a Cividale che ospiterà almeno un girone della GSA: ma chiedo, imploro chi deve agire in tal senso di ridarmi il Carnera: il “mio” Carnera. Il nostro palazzetto: ce lo meritiamo.


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