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Basket e wild card: cosa c’è di vero?

di Franco Canciani

Alla vigilia della parziale ‘liberazione’ della popolazione nazionale, e (forse) della riapertura della massima serie del campionato di calcio, voci sempre più insistenti parlano di ‘wild card’, ossia promozioni ad invito, per alcune formazioni di A2 che potrebbero rimpolpare la prossima A1 di basket.

Allo stato attuale delle cose sono solo voci, ma non prive di fondamento: vediamo perché.

In A2 la situazione è chiara: la sospensione, divenuta annullamento, ha reso di fatto inutile ogni punto realizzato o partita giocata: la stagione 2019-2020 non è mai esistita. Troppe infatti le incognite lasciate a causa della mancata disputa di fase ad orologio e playoff

In A1 invece, al netto della risoluzione che l’accomuna al secondo campionato, ci sarebbe una decisione praticamente presa: la retrocessione della Carpegna Pesaro, squadra che certo non ha giocato ‘a perdere’ ma è parsa, con soli due punti in classifica e nonostante un pubblico pesarese commovente, decisamente inferiore alla concorrenza.

Accanto a questo, si vocifera di tre, quattro altre squadre che non navigavano nell’oro prima dell’epidemia, figuriamoci ora. Pistoia, Virtus Roma sono tra le più chiacchierate; non mi pronuncio su Trieste; altre, come Reggio e Cantù, di certo non hanno budget multimilionari.

Ad oggi ci sono troppe incognite, troppi punti interrogativi che non permettono di capire come andrà: quando si ripartirà? Palazzi chiusi o aperti? Ma soprattutto quali budget potranno permettersi le squadre?

È una cascata: alle società è mancata la parte più importante degli incassi; le aziende, che alla fine sponsorizzano le squadre, dovranno fare i conti con riaperture, mercato difficile, casse integrazioni varie e vedremo se avranno ancora la voglia di partecipare nello sport. Non so infine quali potranno essere gli aiuti statali tanto agognati: credo Petrucci interverrà, ma basare una stagione sportiva su questo potrebbe essere imprudente.

Ad ogni buon conto una cosa è certa: ci saranno tante formazioni, dalla A alla C, che salteranno. Sono le formazioni che non hanno programmato, che costringono squadre come Udine a giocare in palestre di fronte alle quali il ‘Maranga’ pare il Madison; sono, per restare all’A2, società che per rimanere a galla sono ricorse a qualche girotondo di troppo, acrobazie e volteggi che sono emersi allo scoperto a causa dell’emergenza.

La riduzione delle formazioni, dall’A1 a scendere, costringerà la FIP a ‘riempire’ i quadri per non far disputare la A1 con troppo poche formazioni. Come? Distribuendo wild card, alle formazioni più ‘virtuose’ e meritevoli per il costante rispetto delle regole, degli impegni finanziari e di quelli sportivi.

Udine è fra queste. La formazione di Pedone se lo meriterebbe, rispetto a tante altre, perché da quando ha guadagnato la serie A a Montecatini è divenuta traino della categoria intera. Sono certo che i bianconeri saranno fra i primi ad essere presi in considerazione nel caso ci fosse quest’eventualità. Ma gli udinesi accetterebbero?

Non lo so. A specifica domanda, abbiamo ricevuto solo sorrisi di circostanza dietro le mascherine di prammatica. Il dubbio principale è la tendenza, dei friulani, a volersi guadagnare i traguardi da soli: questione di DNA e di filosofia ‘aziendale’. So per certo che dopo la sconfitta ai playoff di B contro Bergamo, ad Udine fu offerta la posizione di una squadra abruzzese. Il costo era competitivo, ma galeotta fu l’Adriatica e, giunti a casa, i dirigenti friulani decisero di farcela con le proprie forze.

Secondo, ma non meno importante, è l’aspetto del budget. Per fare una A1 di livello servono (secondo me) almeno 4 milioni, anche per la differente fiscalità tra le due categorie. Per racimolare questo gruzzolo, ogni squadra ha bisogno di sponsor (a meno che non si parli di Zanetti, Brugnaro o Armani). Resta da capire, dunque, se dopo il COVID19 si dovessero trovare mecenati che vogliano partecipare.

Insomma, troppe variabili: aspettiamo. La cosa importante è che Udine sia in pole position qualora tali offerte si palesassero. Non per riguadagnarsi un derby che ci manca tanto, ma per confermare, ce ne fosse il bisogno, che l’A.P.U. è una formazione dalla reputazione finalmente riguadagnata.


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